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Don Vitaliano, una riflessione
La
rimozione di un prete dalla sua parrocchia è questione tutta interna
alla struttura ecclesiastica? Dipende dal contesto. Nel caso di don
Vitaliano Della Sala, rimosso in questi giorni dalla parrocchia di S.
Angelo a Scala, un paesino dell’Irpinia, il fatto ha valenze sociali
e politiche oltre che ecclesiali di notevole interesse. E’
uno specchio degli assetti interni alla Chiesa Cattolica e insieme
delle alleanze che si vanno costruendo fra i poteri egemoni nella
Chiesa stessa e i poteri forti nella società e nella politica. La
rimozione di don Vitaliano è la conclusione di una vicenda
intraecclesiale che si trascina ormai da molto tempo. Ci sono
implicati delicati temi di diritti umani non riconosciuti nella
Chiesa: il diritto dell’uomo prete ad avere ed esprimere un pensiero
critico e il diritto di una comunità ad avere voce in capitolo nella
scelta del suo pastore. Sbaglierebbe
però chi pensasse che l’obbiettivo unico del provvedimento sia il
giovane "prete-no global". Si colpisce una scheggia
periferica senza peso, così è considerato dal potere centrale il
parroco di una sperduta frazioncina di campagna, per dare un
avvertimento a ruoli e personaggi ben più importanti. Il
timore attuale della gerarchia è che si saldi il movimento ecclesiale
in atto da tempo, e da sempre sospetto, per una Chiesa aperta sui temi
etici, contraccezione, aborto, matrimonio dei preti, sacerdozio alle
donne, accoglienza dei gay e dei divorziati risposati, decentramento
istituzionale, ecc., con il nuovo movimento di socialità cosiddetto
no-global. La saldatura fra etica, società e politica non può essere
frutto di un incontro di movimenti dal basso ma deve stare saldamente
nelle mani dei vertici. Non a
caso la rimozione di don Vitaliano coincide con una importante
iniziativa vaticana sulla globalizzazione. E viene dopo la messa in
riga di tutto l’associazionismo cattolico, il quale, nessuna
associazione esclusa, è stato indotto ad aggregarsi autonomamente,
rispetto al movimento non-global, in un cartello chiamato "Le
sentinelle del mattino". Il portavoce di tale ricompattamento,
Ernesto Diaco dell’Azione cattolica, presentando le iniziative
"separate", ha tenuto a dichiarare che il cartello cattolico
non deve essere confuso con quel "minestrone no global a cui non
sentiamo di appartenere" (cfr. ADISTA 54/2002). Il provvedimento
repressivo del vescovo di Montevergine coincide inoltre con
l’importante e clamorosa presa di posizione del vescovo di Catania
di segno opposto e cioè in solidarietà con i giovani
"disubbidienti" arrestati dalla Procura di quella città. Dunque
si saldano in qualche modo i conti all’interno della gerarchia
usando un pretino che si può schiacciare scontando solo qualche
clamore senza peso. Tutto
questo fa parte di una strategia pastorale e politica del vertice
ecclesiastico molto sofisticata e ambiziosa. Si tratta per la Chiesa
Cattolica di rinnovare oggi in modo aggiornato il ruolo che nella sua
storia bimillenaria ella ha sempre rivestito: sacralizzazione e
stabilizzazione del potere dominante e al tempo stesso bilanciamento
critico e moderazione dello stesso. Scriveva nel 1878 Leone XIII, il
papa della Rerum Novarum, nella enciclica a questa precedente
intitolata "Quoad apostolici muneris" contro il socialismo:
"Si persuadano (i popoli e i Principi ndr) che le ragioni della
religione e dell’impero sono sì strettamente congiunte, che quanto
vien quella a scadere, tanto dell’ossequio dei sudditi e della maestà
del comando si scema. Che anzi conoscendo che la Chiesa di Cristo
possiede tanta virtù per combattere la peste del socialismo, quanta
non ne possono avere le leggi umane, né i costringimenti dei
magistrati, né le armi dei soldati; ridonino alla Chiesa quella
condizione di libertà, nella quale possa efficacemente dispiegare i
suoi benefici influssi a favore dell’umano consorzio". I
poteri che gestiscono la globalizzazione cosiddetta liberista hanno
bisogno anch’essi di un aggancio col sacro. E sono pronti a pagare
il prezzo che ciò comporta. La critica da parte di una grande autorità
morale può risultare in fin dei conti stabilizzante se accentra e
controlla l’insoddisfazione e devitalizza in tal modo il contagio
della ribellione come un vaccino. La Chiesa si offre per tale compito.
Ma ha bisogno di un grande leader che incarni il sacro e di credibilità
del leader stesso assicurata da una grande coesione interna dei fedeli
nella sequela. Il leader non manca ma è la precarietà della coesione
che inquieta le gerarchie. Questa adesione in massa di tanti giovani cattolici al
movimento dei movimenti rischia di incrinare la compattezza
ecclesiastica, fa
concorrenza alle masse giovanili plaudenti dei megaraduni papali,
sposta la rappresentazione del sacro dalla dimensione verticale
dell’altare e del pulpito alla dimensione orizzontale della vita.
Come negli anni del Concilio inquietò l’incontro fra la fede e la
vita, fra il sacro e la vitalità che si manifestava nei movimenti di
quel tempo, così è in sospetto l’incontro attuale. E’
significativo che il decreto di rimozione di don Vitaliano sia quasi
la fotocopia del decreto di rimozione di chi scrive e di tanti preti
del cosiddetto "dissenso cattolico" negli anni ‘70-’80. Il bene
della Chiesa quale rappresentanza del sacro, così com’è concepito
dai suoi attuali vertici, il suo ruolo di mediazione del divino e di
salvezza dall’alto, richiede un riorientamento verso la stella
polare del centralismo vaticano e del suo vertice massimo. Chi ha le
chiavi dell'eternità non può permettersi di farsele sottrarre da
fugaci mode della storia. A una tale concezione centralista della
Chiesa si oppone all’interno stesso della gerarchia una concezione
di decentramento partecipativo che valorizza la storia e i movimenti
storici. Il confronto per non dire lo scontro è mondiale e globale e
investe tutti i settori della vita ecclesiale. E
guarda ormai alla successione papale. Questa è la posta in gioco. La
vicenda e la resistenza di don Vitaliano e della sua comunità è il
granellino che può essere schiacciato ma può anche colpire il
gigante nel suo nervo scoperto in questo momento di transizione, se
trova adeguati sostegni e forte solidarietà nella chiesa e nella
società. Non avverte di perdere di credibilità in modo palese chi
afferma la cultura della solidarietà e dei diritti e tace di fronte a
questa grave violazione? Enzo
Mazzi (Cdb Isolotto – Firenze)
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