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 Gay mai, siamo preti

Il Vaticano ci ripensa e dice no alla consacrazione di sacerdoti omosessuali: «non idonei»

Gianni Rossi Barilli

Fuori i gay dalla chiesa cattolica. La nuova regola, alla quale il Vaticano sta pensando da tempo, non sarà retroattiva come certe leggi italiane ma servirà a sbarrare in futuro le porte dei seminari, e quindi la via al sacerdozio, agli uomini con manifeste inclinazioni omosessuali. Varie branche del governo ecclesiastico sono al lavoro sulla questione e ieri le agenzie di stampa hanno reso noto il testo di una raccomandazione, a firma del cardinale Jorge Medina Estevez, pubblicata sull'ultimo numero del bollettino della congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti. Secondo l'illuminato parere del prelato, «una persona omosessuale o con tendenza omosessuale non è idonea a ricevere il sacramento dell'Ordine sacro». Di conseguenza, «l'ordinazione al diaconato o al presbiterato di uomini omosessuali o con tendenza omosessuale è altamente sconsigliabile». Non si tratta ancora di una norma obbligatoria, ma le parole del cardinale Estevez sembrano indicare la direzione di marcia.

Già attualmente il «consiglio» rivolto ai direttori dei seminari è quello di fare attenzione alle vocazioni gay e possibilmente scoraggiarle, ma trasformare il suggerimento in formale precetto è un bel salto di qualità all'indietro. Riporterebbe infatti la chiesa cattolica a una valutazione dell'omosessualità, almeno per quanto riguarda gli aspiranti pastori di anime, precedente la celebre «svolta» del 1975, sotto papa Paolo VI, quando fu introdotta una distinzione tra la semplice inclinazione (che può essere involontaria e perciò non essere in se stessa peccato) e il comportamento omosessuale (sempre censurabile perché «intrinsecamente disordinato»). A questo bizantino distinguo ci si era attenuti fin qui anche con papa Wojtyla, pur alzando progressivamente a dismisura il tono della polemica contro il riconoscimento dei diritti di gay e lesbiche.

Ora però si pensa di non dare ai futuri preti eroticamente attratti da persone del loro stesso sesso neppure la chance di scegliere (eroicamente) la castità per poter essere sacerdoti. Questa possibilità resterà aperta solo per gli eterosessuali (o per gli omosessuali che sanno mentire bene), che come è noto devono rimanere altrettanto casti volendo fare i ministri del culto. Vogliamo parlare di discriminazione?

Se poi si pensa che il giro di vite antigay, nelle intenzioni del Vaticano, dovrebbe essere una misura per cercare di uscire dal vicolo cieco degli scandali pedofili che in tutto il mondo stanno minando l'immagine della chiesa cattolica, il quadro si fa ancora più sconsolante, perché a dispetto di ogni evidenza si identificano pedofilia e omosessualità, prescindendo tra l'altro dai numerosi e documentati scandali che hanno coinvolto preti molestatori di fanciulle e novizie.

Questo atteggiamento sta suscitando dissensi e preoccupazioni anche all'interno della chiesa, e potrebbe presto rivelarsi un boomerang per il blocco conservatore che la governa. Intanto, dal mondo laico cominciano ad arrivare commenti indignati. Secondo la deputata verde Luana Zanella, per esempio, la nuova linea vaticana «non sta né in cielo né in terra: è contraria ai principi evangelici ma anche al buon senso terreno». Più caustica la reazione di Franco Grillini, deputato Ds e presidente onorario di Arcigay: «Evidentemente la chiesa cattolica ha deciso di chiudere baracca. Siamo stupiti che in periodo di gravissima crisi di vocazioni l'azienda vaticana decida di privarsi di una parte consistente della propria manodopera mettendo fortemente a rischio il pieno utilizzo degli impianti».

 

Tratto da "Il Manifesto" 6 dicembre 2002


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