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E
io difendo Miss Mondo, parola di femminista
Camille Paglia
Scrittrice, docente all'università di Philadelphia
In novembre la Nigeria è stata dilaniata da cinque giorni di
scontri a causa del concorso di Miss Mondo che si sarebbe dovuto
svolgere in quel Paese. I manifestanti musulmani, al grido di «Abbasso
la bellezza» e «Miss Mondo è peccato», hanno bruciato automobili,
edifici e chiese. Folle cristiane hanno contrattaccato incendiando
alcune moschee. Alla fine, 220 persone sono morte e migliaia sono
rimaste senza un tetto.
Preoccupata per l'incolumità delle 90 partecipanti, l'organizzazione
ha trasferito l'evento a Londra dove oggi avverrà l’elezione.
Una giornalista nigeriana, che aveva scritto che il profeta Maometto
avrebbe ben potuto sposare una aspirante Miss Mondo, ha dovuto
lasciare il Paese dopo essere stata minacciata di morte dagli
estremisti islamici.
Questo disastroso contrasto tra l'Islam fondamentalista e un concorso
di bellezza - una di quelle stravaganze incentrate sul sesso che
caratterizzano la moderna industria occidentale dell'intrattenimento -
ricorda bizzarramente l'episodio che per primo catapultò il
femminismo contemporaneo all'attenzione del pubblico. Nel 1968, le «Radical
Women» di New York, un gruppo di femministe militanti, realizzarono
una spettacolare protesta - il «teatro guerriglia» - contro il
concorso di Miss America, un amatissimo rito nazionale che si teneva
nella località marina di Atlantic City, New Jersey, fin dal 1921. Le
tenute da spiaggia tanto rivelatrici delle primissime concorrenti, ai
tempi chiamate «bellezze al bagno», erano state sfoggiate dalle «nuove
donne liberate», le «maschiette», dell'edonistica Età del Jazz.
Ma per le femministe del 1968 i concorsi di bellezza erano scandalosi
«mercati del bestiame»: chiesero di porre fine al «sessismo», allo
«sciovinismo maschile», alla «commercializzazione della bellezza».
Le virginali Miss America e le stuzzicanti modelle di Playboy venivano
considerate come «sorelle» ridotte ai loro grossi seni «scervellati».
Sulla celebre passerella esterna alla sala del concorso, le
manifestanti incoronarono Miss America una pecora viva. Subito dopo
lanciarono in una «Pattumiera della Libertà» i simboli
dell'oppressione femminile: corpetti, reggiseni, scarpe coi tacchi
alti, bigodini, ciglia finte, detersivi e copie del Ladies Home
Journal e di Playboy .
Non venne bruciato nulla, perché la polizia negò alle manifestanti
il permesso di accendere fuochi, ma quel giorno nacque la leggenda
delle «femministe che bruciano i reggipetti»: archetipo durevole di
amazzoni dei nostri tempi. La provocazione più grossa ebbe luogo
nella serata finale del concorso, che veniva teletrasmessa in tutto il
Nord America. Le femministe srotolarono dalla balconata un enorme
striscione con scritto «Women’s liberation», gridando «Libertà
per le donne» e «Mai più Miss America!», poi vennero gettate due
«bombe puzzolenti» sul pubblico della platea. Furono arrestate
cinque manifestanti.
La maggior parte delle femministe degli anni '60 e '70 credeva che i
concorsi di bellezza - antiquati, frivoli e insultanti - sarebbero
morti presto. Di certo l'immagine incongrua della donna-bambina
seminuda, sempre sorridente e con la testa vuota che passeggia e va su
e giù davanti alla giuria, sarebbe scomparsa davanti a quella della
donna ambiziosa, aggressiva, professionalmente articolata - avvocato,
medico politico... Sorprendentemente, invece, i concorsi di bellezza
si sono moltiplicati e si sono diffusi nel mondo come un incendio. Il
fatto incontestabile è che a milioni di persone, ricche o povere,
piace vedere una sfilata di bellezze. Sia per gli uomini sia per le
donne, i concorsi di bellezza sono piacere puro - una festa pagana per
gli occhi. Questi grandiosi spettacoli vengono disdegnati e attaccati
solo da snobistiche élites d'intellettuali e dai conservatori
religiosi puritani.
L'attacco delle femministe alla bellezza si fece anche più duro negli
anni '80, quando fanatiche come Andrea Dworkin e Catharine MacKinnon
intrapresero una campagna per vietare a norma di legge la vendita di
riviste maschili come Playboy , Penthouse e Hustler . La pornografia,
affermavano senza logica o prove, è causa di stupri. Riviste di mode
come Vogue erano stigmatizzate in quanto cospirazione capitalista per
schiacciare l'«autostima» delle donne. Al concorso di Miss
California del 1982, un'attraente femminista che indossava un «vestito
di carne», abilmente confezionato con oltre 15 chili di mortadella a
fette, venne arrestata per aver gridato «giudicate la carne, non le
donne!»
In realtà il concorso di bellezza come simbolo della concezione
occidentale è antico come il giudizio di Paride, che assegnò il
premio alla dea dell'amore. Tutta la tradizione greco-romana, nella
bellezza o nello sport, si basa sulla glorificazione del corpo
sensuale. Il punto è che quando la religione, giudaico-cristiana o
islamica che sia, esalta lo spirituale al di sopra del visibile,
limita e sminuisce l'umano. La bellezza è transitoria, dunque
preziosa. Il concorso di bellezza, cercando futilmente di misurare la
grazia, l'eleganza, il fascino, non degrada la donna: ne celebra il
mistero e il potere sessuale.
Tratto
da "Corriere della Sera" 7 dicembre 2002
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