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 Maledetta domenica


Astrit Dakli

«Posso confermarvi che l'Unione europea non ha abolito la domenica», ha detto ieri tra gli sghignazzi generali il portavoce della Commissione europea Andrew Fielding, commentando la canea di reazioni che la notizia sulla «non festività» della domenica ha provocato nelle ultime ore nel nostro paese. Una precisazione a quanto pare necessaria, anche se non fa che confermare il livello assai basso al quale il rating dell'Italia è ormai arrivato nell'opinione pubblica internazionale. Appare davvero inverosimile infatti che nel nostro paese si sia accesa una polemica - non si sa bene contro chi, tra l'altro - su un argomento del genere. Le argomentazioni lanciate da alcuni media sono semplicemente deliranti, ispirate unicamente al bisogno di alimentare con allarmi irrazionali razzismo, xenofobia e odio per una fantasmatica «sinistra». Sentite Il Tempo, e il suo titolo di prima pagina su nove colonne: «Domenica niente messa, si lavora per Prodi»; con sottotitoli esplicativi tipo «L'ex premier che voleva la settimana corta di 35 ore chiede all'Italia di non santificare più la festa simbolo dei cristiani» e «Per il giorno di riposo saranno laicamente rispettati anche i diritti dei fedeli ebrei e musulmani».

Insorgono i vescovi, che - uno per uno e tutti insieme come Conferenza episcopale - chiedono preventivamente un referendum popolare; vari ministri e la Lega saltano sul treno e si schierano a spada tratta per la difesa della domenica contro i bastardi infedeli che la insidiano. Dimenticando, così come i titoli del Tempo, che dopotutto la decisione di «abolire la domenica» verrebbe presa autonomamente dal governo di centrodestra per interessi suoi (e dei bottegai che ne costituiscono un cruciale retroterra sociale), non per altro. La Ue chiede solo di sapere qual è il giorno festivo in Italia, e non ne indica alcuno in particolare.

Del resto, né i vescovi né i ministri del centrodestra né tantomeno i giornalisti di testate come Il Tempo hanno mai alzato un sopracciglio per tutti coloro (e non sono pochi) che già ora devono lavorare la domenica, a dispetto delle «tradizioni cristiane». Cosa li turba oggi in particolare? che i lavoratori musulmani possano esser pagati col supplemento «festivo» se lavorano il venerdì? o non piuttosto che i giornalisti del Tempo possano perdere l'indennità per il lavoro domenicale (indennità ben pagata, che certamente compensava la «perdita della messa», come ben sapeva anche Enrico IV)?

Come che sia, è chiaro che «i fedeli ebrei e musulmani» non hanno alcuna colpa, e non ne ha nemmeno l'Unione europea con il suo povero Prodi colpevole solo di essere un possibile sfidante di Berlusconi nel 2006, reato per il quale va messo in croce con qualsiasi accusa. La colpa, se «perderemo la domenica», sarà solo di quei datori di lavoro che vogliono guadagnare ancora un po' di più sulle spalle dei loro dipendenti, e di quei commercianti che vogliono spremere ancora un po' di più i consumatori. Diamo a Silvio quel che è di Silvio.

 

Tratto da "Il Manifesto" 20 dicembre 2002


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