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La
"guerra mediatica" di Adriano Sofri
Carlo
Gubitosa
(segretario
dell'associazione Peacelink)
-
- "Anche le armi possono fermare i massacri", scrive il
quotidiano "La Repubblica" sulla prima pagina del 15
ottobre. L'autore dell'articolo in questione è lo stesso Adriano
Sofri che dalle pagine di quel quotidiano, il 19 luglio 2001, ha
invitato i ragazzi che hanno contestato il G8 ad una scelta
nonviolenta più esplicita e determinata. La propaganda,
d'altronde è anche questo. Sofri ha gettato la sua esca polemica
e per un attimo tutto svanisce: il segreto bancario che finanzia
il terrorismo (e i costruttori di armi che non fanno affari
solamente con l'Iraq), la strage silenziosa dell'embargo, la
chiarezza geografica di una via del petrolio che collega sullo
stesso percorso di morte l'Afghanistan, il Kossovo, L'Iraq e la
nostra scampagnata domenicale in automobile. Ma facciamo finta di
stare al gioco, dimentichiamoci di tutto questo e proviamo per un
attimo a ragionare solamente su quello che Sofri ha dichiarato, e
non sull'utilizzo strumentale delle sue affermazioni, materia
prima preziosissima per quella "gestione del consenso"
che ormai è patrimonio comune di tutti gli esperti di strategie
belliche. Facciamo finta che Sofri sia solamente una persona
inconsapevole di essere un ingranaggio in una macchina di
propaganda, e chiediamoci il senso delle sue affermazioni. Prima
dichiarazione: "lo sminatore è il mio eroe", quasi a
voler insinuare che il ripudio della guerra in realtà non sia
altro che una sottile forma di insofferenza e astio verso chiunque
indossi una divisa. Fa piacere scoprire che almeno gli sminatori
hanno qualcuno che li difende, ma a partire da questo non si può
fare a meno di chiedersi chi difenderà tutti i soldati italiani
che nelle ultime guerre, e nelle successive occupazioni militari
camuffate da "missioni di pace", sono stati pesantemente
esposti all'inquinamento radioattivo dei proiettili all'uranio
proibiti dalle convenzioni internazionali che l'Italia ha
ratificato, ma che comunque non costituiscono un vincolo per la
Nato. Sofri prosegue il suo discorso con una domanda retorica:
"bisognava o no che qualcuno si ponesse il problema di metter
fine alla tirannia dei Taliban?", rivelando che in realtà
non siamo andati in Afghanistan per difenderci dal terrorismo, o
per catturare il capo di una sanguinaria organizzazione
terroristica internazionale. Tutte le motivazioni con cui è stata
legittimata la guerra in Afghanistan erano solo dei pretesti per
nascondere un obiettivo chiaro e limpido: dobbiamo mettere fine
alla tirannia dei Taliban, dobbiamo "democratizzare" una
nazione, dobbiamo fare ciò che è giusto. Da questo punto di
vista Silvio Berlusconi si è dimostrato meno ipocrita degli altri
"alleati", affermando candidamente che l'occidente
interviene nei paesi islamici in quanto portatore di una
"civiltà superiore". Non ho problemi ad ammettere che
ci sia gente sinceramente convinta della necessità di gettare
ogni tanto qualche bomba in nome della giustizia, ma nessuna di
queste persone è ancora riuscita a spiegarmi come mai sono gli
Stati Uniti d'America a dover decidere quali sono le tirannie da
rovesciare a suon di bombe, anzichè lasciare al nostro parlamento
la decisione sulle "battaglie di civiltà" da
intraprendere, magari in paesi dove c'e' meno petrolio e più
soppressione di vite innocenti. Chi sostiene che "era
necessario rovesciare i Talebani", dovrebbe chiedersi in nome
della coerenza e della logica se non sarebbe altrettanto
necessario dare un ultimatum anche ad altri paesi denunciati più
volte per le loro violazioni dei diritti umani, o addirittura
bombardare la svizzera per estorcere con la forza i nomi e i
cognomi dei signori del narcotraffico, dei mercanti di armi e dei
terroristi che nascondono tra le mucche e il cioccolato i tesori
indispensabili alle loro attività. Successivamente Sofri si
avventura in una interessante metafora, paragonando alla chirurgia
il ricorso estremo, ormai sempre più quotidiano, ai bombardamenti
in alta quota, fatti per ridurre a zero il rischio per le
"nostre" vite. Strano paradosso, quello della
"guerra aerea", la "guerra celeste" che porta
"giustizia infinita" e "libertà duratura".
Per noi e per i nostri figli chiediamo strade più sorvegliate, il
"poliziotto di quartiere" e la presenza delle forze
dell'ordine in ogni angolo di strada. Per la sicurezza degli
altri, invece, non c'e' bisogno di mandare a terra delle truppe di
figli "nostri", che rischierebbero la loro incolumità,
ma bastano due o tre "operazioni chirurgiche" a suon di
bombe. Trasportata sul piano della politica interna, la giustizia
"chirurgica" di Sofri apre uno scenario apocalittico nel
quale la polizia italiana non si arrischia a scendere per strada,
ma mantiene l'ordine e la legalità solamente con l'uso di
elicotteri. Chi vorrebbe vivere in un paese così? Anche Sofri
ammette che "opporsi in assoluto a ogni ricorso
internazionale alla forza equivale esattamente a negare
l'esistenza di una polizia entro i confini di uno Stato". E
allora trasformiamoli in polizie, questi eserciti. La polizia è
sottomessa all'autorità giudiziaria, e allora opponiamoci ad ogni
intervento unilaterale al di fuori dell'autorità Onu; la polizia
agisce sul territorio, e allora smettiamola di intervenire come
"angeli vendicatori" dall'alto dei cieli, la polizia non
ha l'obiettivo di annientare un nemico, ma quello di proteggere
altre persone, e allora facciamo interposizione nei conflitti
anzichè risolverli a schiaffoni; la polizia usa tutte le volte
che può armi non letali, che servono solamente a fermare senza
uccidere, e allora mettiamo al bando le bombe a grappolo, i
proiettili all'uranio, le testate nucleari e gli scudi spaziali
largamente utilizzati dalle "civiltà superiori"; la
polizia, infine, è soggetta ad un controllo e può essere
condannata per i suoi abusi, allora imponiamoci affinchè la Nato
sia controllata e condannata per tutte le violazioni della
convenzione di Ginevra, che proibisce di bombardare strutture
civili, come ad esempio il palazzo della televisione serba raso al
suolo nel 1999 dalle "nostre" bombe. Sofri poi se la
prende con "i convinti pacifisti che non mossero un dito per
liberare Sarajevo dall'assedio", dimenticandosi che un gruppo
di quei pacifisti, guidati da don Tonino Bello, ha rischiato la
propria vita per condividere quell'assedio assieme alle vittime
della violenza, e che la sordità dimostrata dai nostri governanti
verso quel gesto non è frutto dell'inutilità o della stupidità
del pacifismo, né tantomeno di una inevitabile cattiveria umana,
ma è stata una scelta deliberata e criminale di quella stessa
comunità internazionale che ha trovato utile abbandonare Sarajevo
al suo destino e oggi ritiene altrettanto utile affilare le armi
contro l'iraq. Sofri afferma senza esitazione che "per
interrompere i massacri occorre mettere in campo una forza armata
internazionale" ma non si chiede qual è la ricetta per
prevenire i massacri prima ancora che si renda necessario
interromperli. Il pacifismo che gioca sempre "in
difesa", contestando decisioni già prese senza proporre
alternative, è solo l'altra faccia di un militarismo ottuso che
rincorre presunte "emergenze" con serie interminabli di
campagne aeree, risparmiandosi lo sforzo necessario per dare alla
politica e alla diplomazia un respiro più ampio, indispensabile
per gestire le tensioni sociali prima che si trasformino in guerre
sanguinose. Dopo aver apostrofato Gino Strada affermando che
"con te voglio litigare di brutto", alla fine Sofri si
riscopre concorde con il dottore di Emergency, e dichiara alla
fine della sua arringa che "sono contrario alla guerra
minacciata contro l'Iraq e alla sua filosofia, e spaventato dalla
sua ignota modalità. Ma mi sembra pazzesca l'assimilazione fra
Saddam Hussein e Bush, che tu proclami a muso duro". Quindi
il problema sarebbe solo questo: per quanto possa essere
criticabile Bush, Saddam è sicuramente più cattivo, perchè ha
le armi chimiche ed è sicuramente disposto ad usarle. "Non
comprendo tutte queste riserve sull'impiego di gas: sono
decisamente a favore del lancio di Gas venefici [...] Non è del
resto necessario usare i gas più letali; possono essere ad
esempio usati quei gas che provocano gravi disagi fisiologici e
seminano efficacemente il terrore senza per questo lasciare
effetti permanenti sulle persone colpite. [...] Le armi chimiche
non sono altro che l'applicazione della scienza occidentale alla
conduzione di una guerra moderna". Il testo tra virgolette
non è di Saddam Hussein. ma è stato pronunciato nel 1920 dal
"ministro per le colonie" Winston Churchill, quando un
paese che oggi vuole portare all'estero la democrazia e la legalità
non esitava ad impiegare le armi chimiche contro gli iracheni e i
curdi che si ribellavano alla dominazione britannica. Chissà se
Sofri pensa che in quella occasione qualcuno avrebbe dovuto
bombardare l'Inghilterra.
Tratto da Peacelink, 18 Ottobre 2002
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