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Il mondo irreale dei "ciecopacisti"

 

Giovanni Sartori

 
Chi vuole la guerra è un demente che vuole una cosa orribile. E dopo gli spaventosi bagni di sangue delle ultime guerre mondiali, in Europa la guerra non la vuole più nessuno. Pertanto chi oggi distingue tra pacifisti e guerrafondai disegna una distinzione fuorviante. La distinzione che ci divide è tra pacifisti incoscienti - che dirò «cieco-pacisti» - e pacifisti pensanti. Il cieco-pacista non sente ragioni, è tutto cuore e niente cervello. Il guru pacifista del momento, Gino Strada, scrive così: «Può darsi che il movimento per la pace non sia in grado di far cadere un dittatore, ma una cosa è assolutamente certa, che... non ne ha mai creati né aiutati a imporsi». Purtroppo no. Purtroppo Strada è assolutamente certo di cose assolutamente false. I pacifisti degli anni ’30 hanno aiutato Hitler a imporsi, così come i pacifisti della guerra fredda - gridando better red than dead , meglio rossi che morti - invitavano l’Unione Sovietica a invadere una Europa che non si sarebbe difesa. Il Paternostro recita: «Non indurci in tentazione». Lo recitano ancora, il Paternostro, i nostri pacifisti chiesastici? E se lo recitano, perché non si chiedono se il loro pacifismo assoluto - che è in sostanza un pacifismo di resa - non induca in tentazione i malintenzionati non ancora convertiti in agnelli? Quanto ai nostri cieco-pacisti laici, a loro ricordo il detto che è l’occasione che fa l’uomo ladro. Non ci credono? Provino a lasciare spalancate le porte delle loro case. Saranno svaligiate anche e proprio da ladri creati dall’occasione.
Fortuna vuole che ai pacifisti incoscienti si contrappongano i pacifisti pensanti che rifiutano la guerra offensiva ma approvano la guerra difensiva, che distinguono tra guerra ingiusta e guerra giusta e che fanno sapere che si difenderanno se attaccati. Il mondo libero deve la sua libertà a questo pacifista con la testa sul collo. Ma anche lui si trova a disagio al cospetto della nuova idea della guerra preventiva.
Mi si dirà che la guerra preventiva è sempre esistita. Sì; ma no. No nel senso che oggi la dottrina della guerra preventiva si fonda su una nuova ragion d’essere che si inserisce in un nuovo contesto: il contesto di quella guerra che Umberto Eco ha battezzato «guerra diffusa». Nelle guerre del passato esistevano due (o più) nemici ben riconoscibili i cui eserciti si fronteggiavano lungo una frontiera che era il limite da superare. Queste guerre erano dunque caratterizzate da una frontalità territoriale. Nella nuova guerra l’attaccante è un terrorismo globale ispirato da un fanatismo religioso - e quindi senza precisa patria - che non si lascia localizzare, che è dappertutto, e che opera nascondendosi. In questa guerra diffusa, latente, ma per ciò stesso sempre pronta a colpire, l’attaccato non sa più chi contrattaccare. O meglio: può solo attaccare le infrastrutture dove vengono prodotte le armi dei terroristi e gli Stati che li «supportano».
L’altro aspetto del problema è che la guerra terroristica dispone di nuove armi chimiche e batteriologiche. Qui la novità è tecnologica. E il fatto è che oggi disponiamo di una tecnologia facilmente nascondibile il cui potenziale distruttivo è terrificante. Prima c’era il cannone e c’era la corazza. Oggi la corazza non c’è quasi più, e il cannone è diventato gigantesco. Una sola persona può avvelenare l’acqua potabile di un milione di persone. Il cieco-pacista non lo vede, ma il problema è questo.
Si sarà notato che non ho mai menzionato l’Iraq. Difatti qui interessa capire quale sia la ragion d’essere di una guerra preventiva. Se questo nuovo diritto di guerra si applichi o no (e con quali procedure) ai vari casi concreti, e oggi al caso di Saddam Hussein, è una questione a parte. Una cosa alla volta. E questa volta il punto è che, a fronte della altissima vulnerabilità e facile «uccidibilità» delle società industriali avanzate, il pacifista di oggi è ancor più cieco e malconsigliante di quello del passato.
 

 

 

Tratto da "Il Corriere della Sera" 18 ottobre 2002