- Sull'eutanasia la
discussione è ormai vastissima
- Perché tanti la considerano un atto
di carità
- Si arriverà a qualche
innovazione legislativa?
- Il dibattito è come se
fosse appena iniziato...
L'Alta Corte di
Strasburgo per i diritti umani ha detto no alla
richiesta dall'Inghilterra di Diane Pretty, affetta da
un male incurabile e paralizzata dal collo in giù che,
urlando: "Voglio morire", aveva chiesto la non
punibilità del marito nel caso l'avesse assistita
nell'eutanasia. Anche la giustizia britannica aveva
detto no, ma proprio l'altro giorno la Corte d'Appello
di Milano ha assolto l'ingegnere Ezio Forzatti, fama di
uomo esemplare e di marito affettuoso che la mattina del
21 giugno 1998 si diresse verso il lettino
dell'ospedale dove la moglie Elena giaceva in coma,
staccò il respiratore e abbracciò quel corpo
attendendone la fine e confessando subito dopo:
"Mi ero impegnato con lei per non farla soffrire
troppo". E lo stesso suocero, il papà di
Elena, lesse in quel gesto solo un atto d'amore e,
invece di odiare, manifestò al genero tutto il suo
affetto e continuò a considerarlo uno di
famiglia.
Poiché Inghilterra e Italia sono in Europa, le
uniche conclusioni sin troppo ovvie che si possono
trarre sono tre. La prima: ogni caso è a sè stante. La
seconda: eutanasia non potrà mai significare...
libertà di uccidere. La terza: il problema resta però
così complesso, dibattuto e controverso che da una
parte c'è stata un'assoluzione a Milano. Ma dall'altra,
al no preventivo della giustizia britannica al
cosiddetto "suicidio assistito", ha fatto
seguito il no di Strasburgo.
Dico questo da semplice cronista, senza entrare neppure
nel merito dei pro e dei contro che continuano a
dividere l'Europa, Italia compresa. Con il mio Vivere
a tutti i costi? Eutanasia, dilemma del terzo millennio,
di cui nel maggio 2001 il Nuovo diede ampia
anticipazione, credo di essere stato l'autore del primo
vero libro-inchiesta in uno scenario in cui da anni
abbondano soprattutto volumi a sfondo etico e morale.
E rammento questo non certo per incensarmi, ma
semplicemente per ribadire che, a prescindere da come
ognuno di noi la pensi, il problema dell'eutanasia va
ben al di là dello stesso verdetto della Corte di
Strasburgo e della sentenza della Corte d'Appello di
Milano. Avendo riportato fedelmente fatti, reazioni di
oppositori e sostenitori, scavato negli archivi e nei
mille retroscena dell'Italia del divieto per legge e
dell'Italia del movimento trasversale di opinione che
vorrebbe nuove norme, ciò che in queste settimane è
accaduto a Milano, Londra e Strasburgo mi sta
sempre più convincendo che comunque anche in Italia il
dibattito è più vasto di quanto si pensi e di quanto
spesso emerga dai mass media.
E allora, restando semplicemente cronista, ricordo due
sondaggi. Il primo nella primavera del 2000: risultò
che solo 8 italiani su cento pensavano che bisogna
prolungare la vita del malato terminale ignorando la
sofferenza, dichiaravano di essere decisamente contrari
all'eutanasia, rispondevano che era necessario
prolungare la vita, anche se con dolore. Gli altri
92 si dichiaravano di opinione diversa e magari, senza
nettamente schierarsi per il sì o per il no,
esternavano la volontà quantomeno di aggiornamenti
normativi.
Il secondo sondaggio, fatto subito dopo la recente
assoluzione di Forzatti, ha visto il 46 per cento degli
interpellati schierarsi per il "testamento
biologico" che a ognuno dovrebbe consentire
quantomeno di poter dire la sua nell'eventualità
dovesse un giorno trovarsi in condizioni
dichiaratamente irreversibili. Già all'inizio degli
anni Novanta si era schierato tra questi anche
Montanelli: al di là del fatto che era
decisamente favorevole all'eutanasia in situazioni di
sopravvivenza vegetativa, il grande Indro considerava
comunque una "scelta di civiltà" parlarne,
discuterne, arrivare a dibattiti parlamentari.
A parere di molti, pur dando per scontato che non si
debba o non si possa arrivare alla legalizzazione come
in Olanda, di certo, senza una normativa nuova o
aggiornata con il supporto di criteri medici e
scientifici, ci sarà sempre più gente la quale si
incamminerà sulla rotte degli emigranti
dell'ultimo viaggio. Una realtà forse insospettabile e
impensabile, ma guai a dimenticarla .
Andate a Torino da Emilio Coveri, presidente di
Exit Italia, l'associazione che conta oltre 2000
aderenti e testimonial illustri anche tra intellettuali
e politici: già qualche anno fa raccontava che soltanto
lui riceveva dalle quattro alle otto richieste alla
settimana di persone che pensavano di dover percorrere
vie estere. Naturalmente non fece mai nulla
personalmente. Mica voleva rischiare la galera. Però
confermava che almeno dieci malati terminali si erano
rivolti ad associazioni elvetiche. E non sapeva dire se
fossero ancora vivi. Ma c'era di più: Coveri si portava
dietro il sospetto, per non dire la convinzione, che in
Italia l'eutanasia venisse praticata clandestinamente,
un po' come capitava prima che venisse approvata la
legge sull'aborto.
E sapete che aria spirava già qualche tempo
addietro alla "Dignitas" di Zurigo? L'avvocato
Ludwig Minelli ammetteva di essere bersagliato
anche da telefonate di italiani che chiedevano aiuto e
che solo nel 2000 oltre cento svizzeri avevano fatto
ricorso al cosiddetto "suicidio assistito" .
Ma come dimenticare che a Margherita Hack, la nota
astrofisica italiana, passando da Lugano, alcuni medici
raccontavano d'aver praticato il "suicidio
assistito" a malati terminali giunti anche
dall'Italia e che comunque le richieste dall'Italia
erano in continuo aumento?
Periodicamente in questi anni è rimbalzato sui giornali
il caso di Eluana Englaro, bella universitaria alla
Cattolica, in coma irreversibile dopo un testacoda del
18 gennaio 1992, nutrita con un sondino
naso-gastrico, immobilizzata a letto, girata ogni due
ore per evitarle le piaghe. Dieci anni in attesa di un
miracolo. Dieci anni in uno stato vegetativo
persistente. Da qui il disperato appello di papà
Beppino anche al presidente Carlo Azeglio Ciampi: "Eluana
è ormai soltanto un corpo. Mia figlia ha il diritto di
morire. Nessuno meglio di me può dirlo...". Apriti
cielo tra favorevoli e contrari, ma per la prima volta
ecco anche un personaggio carismatico del calibro di
Luigi Veronesi, allora ministro della Sanità, affermare
come l'eutanasia possa essere in molti casi quasi
"un atto di carità". Si arriverà comunque a
qualche innovazione legislativa?
Qualche tassello informativo è già tasto riempito. La
"Biocard" è, per esempio, una carta che si può
compilare in piena salute e consegnare al medico
curante, ai familiari, eccetera, in caso di malattia
invalidante del sistema centrale, di coma e di
demenza, chiarendo una volta per tutte cosa fare, quali
terapie attuali e quali no. E' stata indicata dalla
stessa Consulta Bioetica di Milano come modalità per
far conoscere le proprie volontà nel caso poi non si
sia più in grado di esprimerle. Ma basta la Biocard?
E' evidente che questo tipo di dichiarazione in Italia
non ha ancora valore vincolante, comunque ha
rappresentato un passo avanti affinché la gente
incominciasse a chiarirsi le idee in attesa di
normative. Dacia Maraini ha scritto di essere favorevole
all'eutanasia in linea teorica, ma di avere molti dubbi
per quanto riguarda l'applicazione giusta in un paese
che non rispetta le leggi, che crede nei raggiri, che ha
così poca considerazione della persona umana e che
cerca ogni pretesto per sopraffare i deboli e i più
esposti: e chi più esposto di un malato terminale?
Par dunque di capire che, al di là delle ben note
divisioni di ordine etico e morali, per molti sarebbe
innanzitutto questione di "paletti"
inderogabili. Ma poiché dietro le quinte le
contrapposizioni nette o sfumate durano da decenni,
pronte a rinfocolarsi ufficialmente quando ne offre lo
spunto la cronaca per poi tornare quasi subito in
naftalina, pur vecchio di decenni, il dibattito in
sostanza è come se fosse appena iniziato.
Tratto da "Il nuovo" 29 aprile 2002
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