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Parla il Superiore dei gesuiti italiani, padre
Liberti: «Con la Bossi-Fini aumenteranno gli irregolari in Italia»
Mimmo De Cillis
Amarezza e delusione per una legge
che è lontana dalla sensibilità dei cittadini. Fra i padri gesuiti, la
legge Bossi-Fini sull'immigrazione suscita forti perplessità e aperte
critiche. Padre Vittorio Liberti, Superiore dei gesuiti italiani, ne
censura i principi ispiratori, senza risparmiare stroncature ai
provvedimenti su temi specifici come lotta all'immigrazione
"clandestina", ricongiungimenti familiari, asilo politico e
accoglienza di immigrati e rifugiati. Posizione, questa, condivisa da
larghi segmenti della Chiesa italiana, come Caritas e Fondazione
Migrantes.
Padre Liberti, come giudica la legge Bossi-Fini sull'immigrazione,
che martedì probabilmente verrà approvata dalla camera dopo l'accordo
trovato ieri nella maggioranza sulla questione delle regolarizzazioni?
Siamo molto preoccupati. Ciò che colpisce è l'approccio fortemente
negativo verso gli immigrati e i richiedenti asilo. Non si ritrova nel
testo nessuna espressione che ne sottolinei la loro dignità, né un
riferimento all'apporto che essi danno allo sviluppo dell'Italia. Il
testo ripropone quella «schizofrenia culturale» per cui i rifugiati
vanno aiutati finché restano nei campi profughi a morire di inedia. Ma
quando tentano di arrivare in Italia, essi diventano una minaccia alla
sicurezza e al benessere degli italiani. Secondo il «contratto di
soggiorno» contenuto nella legge, il lavoratore immigrato può restare
in Italia solo fino a quando produce ricchezza. Questa visione tende
solo a sfruttare l'immigrato, rivela una concezione della persona troppo
«mercantile», in contrasto con l'insegnamento della Chiesa. La dignità
non è data dal permesso o dal contratto di soggiorno! Chi, senza colpa,
è nato in situazioni di estrema precarietà o ha subito soprusi non può
continuare a vedersi negati i propri diritti fondamentali da chi, senza
merito, è nato in situazioni protette e di benessere.
Su quali punti in particolare dissentite dalla legge in esame alla
camera?
Non siamo d'accordo sui metodi delineati per contrastare
l'immigrazione clandestina, sul problema del ricongiungimento dei nuclei
familiari, sulle norme per il diritto d'asilo. Innanzi tutto si dovrebbe
evitare di costringere alla clandestinità gli immigrati che aspirano a
un inserimento legale nel nostro paese. Le norme introdotte dalla legge
invece, restringendo i canali di ingresso, rischiano di fare aumentare
gli ingressi irregolari. Anche il rapporto tra famiglie italiane e
persone immigrate è reso più difficile cessando l'istituto dello «sponsor»,
che andrebbe invece ripristinato. Sui ricongiungimenti familiari sono
stati adottati criteri troppo restrittivi, che escludono fratelli e
genitori, ostacolando l'integrazione delle famiglie immigrate. Mi chiedo
se i proclami del governo per la tutela della famiglia valgano solo per
le famiglie italiane! Infine anche i due articoli sul diritto di asilo
stravolgono la procedura attuale senza dare sufficienti garanzie perché
profughi e richiedenti asilo, in fuga dai loro paesi, possano realmente
essere accolti nel nostro paese, così come prevede la dichiarazione di
Ginevra.
Ma il governo non sta interpretando un desiderio popolare, una paura
diffusa?
Qui sta il problema: secondo noi una legge siffatta è molto lontana
dalla reale sensibilità dei cittadini italiani. Quanti hanno incontrato
un rifugiato o lavorano in questo settore mostrano un approccio al
fenomeno dell'immigrazione ben lontano da quello proposto in questa
legge, basata sul principio che l'immigrato sia un «male necessario».
Il mondo cattolico lo sta dicendo a chiare lettere, a tutti i livelli.
Anche il Cardinale Camillo Ruini, nella recente assemblea dei vescovi
italiani, ha parlato di «tutela della legalità, efficace regolazione
degli ingressi» congiunta con «integrazione nel tessuto sociale e
civile e approccio solidale e rispettoso delle persone degli immigrati».
Che cosa chiedete voi gesuiti a questo punto?
Desideriamo un dialogo più profondo tra le forze politiche e
sociali impegnate nel campo dell'immigrazione e dell'asilo. È in gioco
il destino e la sopravvivenza di migliaia di persone. A chi giovano
provvedimenti «blindati», che devono essere approvati così come sono
stati proposti, senza la possibilità di sostanziali miglioramenti? In
una democrazia matura il fondamento di una legge sull'immigrazione
dovrebbe essere la tutela dei diritti e della dignità di persone, non
la paura dello straniero.
Qual è l'impegno dei gesuiti in questo settore?
Oltre alla riflessione filosofica e teologica, i gesuiti sono
impegnati nella difesa dei diritti e nella pratica pastorale. La
Compagnia di Gesù ha numerose opere per il servizio ai rifugiati e agli
immigrati. A Roma il «Centro Astalli», diretto da padre Francesco de
Luccia, assiste gli immigrati sotto sia il profilo giuridico che nelle
necessità materiali almeno 10mila persone all'anno. Abbiamo servizi di
«prima accoglienza» (assistenza primaria a persone arrivate di
recente); servizi di «seconda accoglienza» (aiuto per l'inserimento
nel tessuto sociale), attività culturali.
Tratto da "Il Manifesto" 1
giugno 2002
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