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Diamoci la mano più che le impronte di Mario Marazziti In dirittura d’arrivo la legge sull’immigrazione. Vuole lanciare un segnale forte di legalità e sicurezza. Non innova l’impianto della legge Turco-Napolitano, ma inasprisce le sanzioni e aumenta le strettoie già previste per ingressi irregolari e infrazioni. Subordina però tutto al contratto di lavoro e "dimentica" che gli immigrati oltre ad essere lavoratori sarebbero persone, aumentando il potere dei datori di lavoro: forse da questo verrà fuori una concorrenza vera tra italiani e stranieri, più "malleabili" sul posto di lavoro, aumentando le tensioni sociali e non diminuendole. Maggiori strettoie hanno creato finora più zone grigie e più marginalità, senza fermare ingressi clandestini, mentre più integrazione ha ridotto ovunque nel tempo il rischio criminalità. Attendiamo di essere contraddetti dai fatti, ma senza troppa convinzione. Discutibile, anche a livello pratico, è "l’uso della forza" contro i gommoni della morte (più che contro i trafficanti della morte). Come è noto, quando è stato fatto notare che l’impossibilità di regolarizzarsi per chi già lavorava in Italia era insostenibile e danneggiava anzitutto le famiglie italiane, è stato necessario introdurre la regolarizzazione di colf e "badanti" (o cambiamo la parola o andrà almeno cambiata la voce nel dizionario Zanichelli che la usa per la guardianìa delle bestie!). A questa, con altro provvedimento, si affiancherà la regolarizzazione degli altri lavoratori già presenti sul territorio italiano, che emergeranno da sfruttamento, lavoro nero e precarietà giuridica, con vantaggio di tutti. A questo punto c’è stato lo "scambio". Regolarizziamo, cioè sanatoria sì, ma in cambio impronte obbligatorie per tutti gli stranieri extra-comunitari. Come accade quando si mercanteggia le cose vengono fuori un po’ improvvisate e piene di contraddizioni. Anzitutto c’è già il Testo unico di Pubblica Sicurezza, all’art.4, secondo il quale chiunque, italiano o straniero, non sia in grado di provare la propria identità o si rifiuti di farlo, può essere sottoposto a rilievi segnaletici e anche "dattiloscopici". Per gli stranieri, poi, c’è anche appositamente il più recente decreto del 25 luglio 1998, n.286 (art.6, comma 4), che prevede questa possibilità in casi di dubbio sull’identità personale. Negli ultimi tre anni circa 350 mila stranieri in Italia sono stati sottoposti alla procedura di identificazione con rilievi segnaletici, assieme ad alcuni italiani. Le impronte insomma si prendono già, quando è necessario. Senza distinzioni. Per questo l’aggiunta alla nuova legge suona ingiustificata e ha un sapore discriminatorio. La conseguenza è non da poco: il rafforzamento nell’immaginario collettivo dell’equazione immigrato uguale persona minacciosa, da prendere con le molle, anzi "per le impronte". Non ci si è avveduti che l’attuale testo renderà necessario il rilevamento delle impronte di un milione di immigrati l’anno per il rinnovo del permesso di soggiorno (reso più frequente dalla nuova legge) e per almeno 5 dei 34 milioni di stranieri che vengono per turismo in Italia ogni anno: per quegli americani, giapponesi o svizzeri che decidono per mille motivi di stare più di otto giorni nel nostro Paese. Dovranno lasciare le loro impronte anche Cafu e Ronaldo, i vescovi che vengono per il sinodo. Sicuramente i religiosi che giungono in Italia per corsi di formazione, gli studenti esteri, i seminaristi, le suore, i preti, quanti frequentano le università pontificie: 70 mila presenze stabili che raddoppiano con quelle occasionali ma prolungate. Le nostre questure dovrebbero prendere in un anno invece che 100mila, ben 6 milioni di impronte, 60 volte di più (e già oggi un rinnovo di soggiorno richiede oltre quattro mesi). Sicurezza sì, discriminazione no. Se si facessero eccezioni per alcune nazionalità si finirebbe presto per cadere nella gaffe internazionale, nell’incostituzionalità e nel rifiuto europeo. E’ per questo che sono scesi insolitamente in piazza in questi giorni, assieme alla Comunità di Sant’Egidio, anche l’Unione delle comunità ebraiche Italiane, le comunità ortodosse etiopica ed eritrea, l’Unione dei superiori generali e cioè tutte le congregazioni religiose del mondo, La Federazione delle Chiese evangeliche, l’Ufficio centrale degli studenti esteri, il Cir, la Caritas diocesana di Roma e molti altri. "Diamoci una mano, non le impronte" è il titolo. Sì, diamoci una mano a non introdurre provvedimenti che non aumentano la sicurezza, ma la zona grigia delle lentezze burocratiche che aiuta l’illegalità, creano imbarazzi agli stranieri che amano l’Italia e, alla fine, aumentano solo il sapore della discriminazione.
Tratto da Avvenire, 9 luglio 2002 _________________________________________________________________ |