. .
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
|
L'accoglienza
dello straniero: una prova d'amore
Mons.
Antonio Riboldi
Vescovo emerito di Acerra
La Sacra Scrittura ci offre oggi un episodio d'accoglienza che
riguarda il
grande profeta Eliseo. Eccolo: "Un giorno Eliseo passava per
Sunem, ove
c'era una donna facoltosa, che 1'invitò con insistenza a tavola. In
seguito
tutte le volte che passava, si fermava a mangiare da lei. Essa disse
al
marito: io so che è un uomo di Dio, un santo, colui che passa sempre
da
noi. Prepariamogli una piccola camera al piano di sopra in muratura,
mettiamoci un letto, un tavolo, una sedia e una lampada, sì che,
venendo da noi, vi si possa ritirare". Recatosi egli un giorno là,
si ritirò nella
camera e vi si coricò. Eliseo chiese al suo servo: "Che cosa si
può fare
per questa donna?" Il servo disse: purtroppo essa non ha figli e
suo marito è vecchio". Eliseo disse: "Chiamala!" La
chiamò, essa si fermò sulla porta.
Allora disse: "L'anno prossimo, in questa stessa stagione, tu
terrai in
braccio un figlio!" (Libro dei Re: 4,8-16).
Noi sappiamo bene o dovremmo sapere che l'accoglienza di cui oggi Gesù
parla con insistenza è il tema che agita tante discussioni. C'è una
accoglienza tra amici che si fa sempre più rara perché non abbiamo
neanche tempo di andare a trovarli, tanto ci siamo chiusi nella penosa
stanza dei nostri interessi, che sono riusciti a fare piazza pulita
del meraviglioso giardino che invece e avere tempo di coltivare
amicizia e stare con loro. E c'è l'ccoglienza dello straniero, ossia
di chi non conosciamo, dallo sconosciuto allo straniero, che si fa
sempre più difficile, fino a toccarei pericolosi sentieri del
razzismo, che non li vuole. A volte non ci si pone neppure la domanda
del perché tanti bussano alla nostra porta, alla porta della nostra
nazione, indifferenti se sono spinti dalla fame e quindi dalla
necessità di trovare ancora uno spiraglio per credere nel cuore
dell'uomo e quindi nella vita. Un sondaggio condotto in questi giorni
da Eurisko, sugli immigrati, stabilisce che: sono d'accordo con la
presenza tra noi perché favoriscono la nostra apertura culturale, il
48% - sono una risorsa per la nostra economia, per il 47,9: ed è già
un dato incoraggiante.
Nello stesso tempo il 34% ha detto che la loro presenza è una
minaccia per la nostra sicurezza: per il 28% sono una minaccia per la
nostra
occupazione. Per il 25% sono un pericolo per la nostra cultura e
religione.
Una inchiesta che mostra bene il volto contrastante della nostra
gente. Ma
per noi Cristiani il discorso prende tutto un altro aspetto. Noi
sappiamo
che tutti, ma proprio tutti, indipendentemente dalla nazione, razza o
religione, sono figli dello stesso Padre. Tutti ma proprio tutti, sono
amati da Lui. Tutti in fondo apparteniamo alla stessa famiglia. E se
della
stessa famiglia, dovremmo conoscere la grande virtù dell'accoglienza.
Chi accoglie voi, dice Gesù, accoglie me e chi accoglie me accoglie
colui che mi ha mandato. Chi accoglie un profeta come profeta, avrà
la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto come giusto avrà
la ricompensa del giusto. E chi avrà dato anche un solo bicchiere
d'acqua fresca ad uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in
verità vi dico, non perderà la sua ricompensa (Mt.10, 37-42)
E Gesù non fu accolto, sebbene figlio di Dio, fin dalla nascita,
costretto
così a trovare rifugio in una povera grotta a Betlemme. Costretto a
fuggire
in Egitto, quindi, conoscere 1'esperienza dell'emigrato. E nella vita
pubblica a volte non veniva accolto nei villaggi dove si recava, fino
al
totale rigetto, perché si era dichiarato per quello che era
"Figlio di Dio"
e quindi fu crocifisso. "Per Lui non c'era posto". E'
incredibile che
1'uomo non abbia accolto Dio, anzi lo ha voluto morto. E Lui è il
solo
Amore che dà senso alla vita.
E' 1'amico vero che tutti i giorni ci chiama intorno alla mensa della
Eucarestia come ad affermare che con Lui., tutti siamo una sola cosa.
Non suscita meraviglia quindi che noi possiamo avere sentimenti che
nulla hanno a che vedere con quelli di Gesù.
Voglio offrirvi una testimonianza che aiuti a riflettere e ci mostri
come
noi uomini perdiamo facilmente la memoria. Quando ero parroco in
Sicilia, negli anni 60 era grande 1'emigrazione dei siciliani verso
terre che potessero offrire motivi di serenità con il lavoro. Ogni
famiglia era come dimezzata.
Ritenni mio dovere di pastore, visitare i nostri emigrati in Germania,
in
Svizzera. Erano un esempio di laboriosità. La loro vita si svolgeva
in
baracche o in mansarde, cercando di spendere il meno possibile. La
loro
preoccupazione era quella di risparmiare tanto e quindi inviare in
famiglia il guadagno per rimettere in sesto la casa, e soprattutto
assicurare il pane ai propri cari.
Non interessavano diritti o altro. Interessava fare in fretta per
tornare
in famiglia che era il bene più grande. Erano accolti perché
necessari alle
fabbriche ma rifiutati come uomini, e quindi sottoposti a umiliazioni
e
segregazione: tanto da essere considerati "necessari
intrusi". Venivano
chiamati con disprezzo "zingari". Ed in città, volendo con
loro visitare un
giardino pubblico fummo accolti con un avviso che diceva:
"Vietato ai cani e agli italiani". Era duro per me
sopportare non tanto la durezza del
convivere nella povertà, quanto vedermi con loro accomunato al
disprezzo...mentre potevo benissimo impartire lezioni di civiltà,
perché
proprio in nulla avevo da sentirmi inferiore. E non era certamente un
demerito essere italiano, anzi un grande orgoglio per civiltà,
cultura e
religione.
Un anno volli visitare i nostri negli Stati Uniti, a Brooklyn, e la
storia
della loro immigrazione avvenuta all'inizio del secolo scorso, era la
stessa storia di quanti ora arrivano da noi sulle nostre coste.
Dovevano
pagare una somma alla mafia che li sistemava su autentiche carrette di
mare poi abbandonarli a se stessi. E fu il genio degli italiani a
farsi strada
nel tempo. Così avvenne in Venezuela.
Basterebbe interrogare tanti nostri emigrati e conosceremmo le
umiliazioni.
Quello che succede ora con quanti vengono da noi, pare ripeta la
stessa
storia di mortificazione...che noi abbiamo ricevuto. Quando dalla
esperienza avuta, dovremmo avere altri sentimenti più buoni.
Io del resto posso considerarmi un emigrato nella nostra Italia. Nato
in
Brianza, 1'obbedienza prima mi ha mandato come parroco a S. Ninfa
(TP), dove si era creata una situazione difficile per tante ragioni, a
cominciare dal comportamento de1 Clero. Dopo 20 anni sono stato
chiamato da Paolo VI a essere Vescovo di Acerra in una situazione
altrettanto difficile.
Tutti sappiamo come siano diversi i caratteri e le culture nelle
diverse
regioni del nostro Paese. Ma è bastato andarci con la sola ricchezza
della
carità, che vede Dio in tutti, e tutti diventano meravigliosi
fratelli.
Non posso non testimoniare che, come ho dato tutto me stesso così
sono
stato amato in modo incredibile ovunque. E' difficile anche solo
tentare di
descrivere come Sicilia e Campania siano diventate meravigliosa parte
del cuore e della vita in me e in loro. Ho solo da ringraziare tutti.
Penso anche i nostri Missionari, sacerdoti, suore, laici che sono tra
gente
ed etnie diversissime. Ma sono la testimonianza più bella che, nel
cuore
quando c'è Dio, ogni uomo è un prezioso fratello, che fa davvero
innamorare, al punto che i missionari preferiscono la missione alla
loro
patria. E quando li senti parlare, parlano con la passione di gente
che si
trova bene dove è...arrivando a trovarsi male tra di noi per i nostri
egoismi. Davvero 1'umanità è, se amata, una sinfonia di popoli? Come
a
rendere vere le parole di Gesù: "Chi accoglie voi, accoglie me e
chi
accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato".
Antonio Riboldi - Vescovo
E-Mail: riboldi@tin.it
Internet: www.vescovoriboldi.it
Acerra, 27 Giugno 2002
_________________________________________________________________
|