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Voci
e storie degli immigrati di Reggio Emilia
di M. Ca.
Per densità d'immigrati residenti e al lavoro
la provincia di Reggio Emilia fa concorrenza al Nordest. Gli stranieri
in regola sono 22 mila. Sono immigrati il 10% degli addetti
nell'industria e nell'agricoltura e il 20% degli assunti nel primo
trimestre di quest'anno. Brevi incontri con quelli che ieri hanno
scioperato. Gurcharan Singh il turbante da sikh l'ha lasciato a
casa. In compenso, si è messo una maglietta con su scritto Del
Piero is magic (speriamo lo dimostri). Bossi e Fini, invece, «sono
cattivi», per prendere i voti degli italiani rovinano la vita degli
immigrati, «tolgono la tranquillità anche a me che sono qui da 13
anni». Gurcharan produce crick per camion e macchine agricole alla
Simol, dove gli operai immigrati sono 55. Come tanti dei mille
stranieri di Luzzara si è comprato la casa. «Adesso ci faranno
mettere l'impronta sulla porta, così si capisce da lontano chi ci
abita dentro. In Germania, dove vivono due fratelli di mia moglie, gli
immigrati non devono fare due giorni di coda in questura per un timbro».
E' un sikh di Luzzara anche Paviter Singh. «Nostra officina
oggi tutta chiusa, zero lavoro. Il padrone ha detto che facciamo bene
a scioperare. Con questa legge uno non è libero di tornare a casa
quando vuole. Lo decidono gli altri e ti rubano i soldi dei contributi».
Il pakistano Ali Mohammadi mette l'isolante sui tetti per la
ditta Coibent, nella zona di Correggio, dove lavorano 700 immigrati.
«Viene Bossi a lavorare al nostro posto? E' diventato famoso
prendendosela con i terroni, adesso rende di più essere contro gli
immigrati». Quattro operai in famiglia, tre case comprate in una
dozzina d'anni, Ali parla di milioni (di lire) con una certa
dimestichezza: «Produciamo ricchezza, facciamo girare i soldi,
conviene anche a voi tenerci qui». La famiglia di Ali è intenziona a
restare, «ma se il casino aumenta, vendiamo tutto e torniamo in
Pakistan». A Correggio pakistani e indiani non si fanno la guerra: «Il
negozio del pakistano è sempre pieno di indiani, quello dell'indiano
è sempre pieno di pakistani». Comprano spezie e riso basmati anche
gli emiliani, «mia moglie ha insegnato le nostre ricette a tante
italiane e noi abbiamo imparato a mangiare gli spaghetti».
In Italia da 18 anni la ghanese Faustina Brimpong manda un
figlio all'università. «Qui mi trovo bene, ma questa legge è
proprio male, non si può programmare il futuro». Fa la pulitrice
alla Coop Service, «metà siamo stranieri». Nel suo cartello ha
scritto «Giù le mani dai contributi Inps». Poterli riscattare solo
quando si raggiunge l'età della pensione è la novità della
Bossi-Fini che fa incavolare di più gli immigrati. «Italiani ladri»,
sentiamo dire, «Berlusconi vuole fregarsi i nostri soldi». E non
manca chi, dimenticandosi d'essere stato «clandestino», distingue
tra immigrati buoni e cattivi: «Capirei una legge contro i
clandestini, ma noi cosa c'entriamo? Siamo tutti onesti e alla luce
del sole». Non dimentica gli anni duri Abdelaziz Saniga, «per
tanto tempo ho dormito in macchina e nelle cascine abbandonate». Ora
abita in un alloggio popolare, ha «richiamato» moglie e figli,
macella tacchini all'Agricola Tre Valli. «Lo sciopero l'hanno fatto
tutti, qualcuno non è venuto alla manifestazione perché ci sono le
partite del mondiale». In tutta Europa, non solo in Italia, si fanno
brutte leggi contro gli immigrati perché «il razzismo c'è
dappertutto». In testa al corteo due marocchini, tute da imbianchini
e faccia impolverata di chi ha appena smesso di lavorare. «Stiamo
ristrutturando un bar che deve aprire tra qualche giorno. Abbiamo
lavorato dalla 6 alle 8, poi siamo venuti al corteo. Perché siamo
essere umani e non dobbiamo essere trattati come bestie». Con
perfetta cadenza emiliana dice che lo siopero è riusito proprio
bene. Di marocchino Jalal Ameziane, arrivato a Reggio
quando aveva 15 anni, ha solo la collanina e i bonghi su cui batte per
dare l'andatura al corteo. Lavora alla Tecnogas di Gualtieri. «Dobbiamo
farci sentire di più contro la Bossi-Fini, altrimenti fatta questa
andranno avanti. Il governo per avere voti va contro l'interesse del
paese che ha bisogno di noi». In casa sua si fa il ramadan, «siamo
credenti ma mia madre e mia sorella non portano il velo». Ha molti
amici italiani, «è facile integrarsi per chi arriva giovane».
Finita la manifestazione, nel breve tragitto verso la stazione
contiamo un ristorante, una gioielleria e un negozio di videocassette
cinesi, due asian market, un african shop, la Western Union per
mandare i soldi a casa e Infinitho, servizi for the people. Al
semaforo due automobilisti si salutano con un colpo di clacson. Sono
neri.
Tratto da "Il Manifesto", 6 giugno
2002
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