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Vi racconto il mio licenziamento


MILANO Smantellano l'articolo 18 per avere completa mano libera. Anche se si
tratta di farci ingoiare gli scarti del pollo come è accaduto alla «Avicola
Monteverde» di Roncato (Brescia), una settantina di addetti. Antonella
Barbi, 39 anni, sposata e mamma di due figli ormai grandi di 21 e 19 anni,
viene licenziata l'anno scorso per avere disobbedito al datore di lavoro che
le ha intimato di reimmettere in commercio una partita di fegati di pollo
che lo stesso veterinaio aveva destinato al macero. Sostenuta dalla Cgil di
Brescia, Antonella ha impugnato il licenziamento e ora il giudice ha
disposto il suo reintegro, ma l'azienda non ne vuol sapere e le offre soldi,
tanti soldi.

Antonella, quanti soldi?

«La somma non l'hanno ancora quantificata, comunque si parla di molte
mensilità. Io però ho già chiarito che non voglio soldi, ma solo il mio
posto di lavoro».

Perché rifiuti tutti quei milioni?

«Perché non ho fatto niente di male, niente di sbagliato, anzi ho fatto solo
il mio dovere. Ma a loro dà fastidio una che ha dimostrato che vuole che
siano rispettati non solo i suoi diritti e le tutele del sindacato, ma anche
la sicurezza alimentare che riguarda tutti i consumatori in generale».

Ma questa è una storia scolvolgente. Se non c'eri tu, qualcuno avrebbe
mangiato quelle schifezze. Racconta: come ti hanno licenziata?

«Stavo pulendo dei fegati di pollo, li stavo controllando prima di mandarli
nella cella frigorifera. Quando entrano nel frigo, poi non è più possibile
distinguere se sono sani o meno. Mentre sono intenta al controllo, arriva il
direttore assieme al veterinario il quale, osservando che alcuni fegati sono
brutti, mi ordina di gettarli via, e di non metterli insieme agli altri. Ma
il giorno dopo il direttore torna e mi dice di portare il tutto nella cella
frigorifera, perché tanto il veterinario non c'è, mentre c'è bisogno di
tutti i pezzi possibili per far fronte al mercato. Ma io rifiuto, e i fegati
li lascio dove si trovano, ossia tra la roba da buttare nella spazzatura.
Dopo una decina di minuti rientra il veterinario e gli spiego la faccenda, e
lui mi dice: "Ora vado dal titolare a chiarire, lei stia pure tranquilla che
non faccio nomi».

E poi?

«Veniamo convocate in ufficio dal titolare, io e la mia collega, e ci
riferiscono quanto il veterinario ha dichiarato. Allora io dico al mio
datore: "Guardi sono stata io a dirlo al veterinario: che problemi ci sono?"
. Ma lui non mi lascia neanche parlare e mi dice: "Allora i problemi te li
creo io a te: stasera chiamo tuo marito e gli dico che ti scopi tutti i
marocchini dell'azienda". Io ci sono rimasta di stucco, non sapevo più cosa
dire: "Mi scusi, ma qui si parla di lavoro, non di altre cose. E poi perché
non mi ha convocata assieme al veterinario?". Lui mi ha di nuovo insultata
e, poiché prima di andarmene anche il direttore ha confermato che il
veterinario aveva disposto di eliminare i fegati malati, se l'è presa anche
col direttore e mi ha cacciata fuori dall'ufficio. Ho fatto subito
intervenire il segretario della Flai Aristide Bertoli, poi mi han dato i
cinque giorni e a ruota è arrivata la lettera di licenziamento sostenendo
che io volevo fare la paladina della salute pubblica, cosa che non mi
competeva perché io ero solo un'operaia addetta ai fegatini».

Ma allora in quell'azienda il rigore dei controlli sanitari dipende dalla
buona volontà dei singoli addetti?

«Sì, innanzitutto dalla coscienza dei singoli. Perché se il veterinario mi
dice di fare così, e il padrone mi dice di fare cosà, sono io che poi devo
decidere: se mi interessa fare tanti straordinari, allora il veterinario è
meglio lasciarlo perdere. Il veterinario controlla tutte la fasi della
macellazione, ma non si può prentendere che sia sempre sul posto».

Come l'hanno presa tuo marito e i figli?

«Mio marito Giuliano al primo momento era perplesso, quasi non credeva. Mi
hanno molto aiutata, lui e i miei figli m dicevano: mamma tieni duro"»

Come hanno reagito i colleghi al tuo licenziamento?

«Mi hanno manifestato solidarietà, ma per strada, fuori dall'azienda».

Perché solo fuori?

«Perché hanno paura».

tratto  da "L'Unità", 19 marzo 2002

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