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Diario postumo di un flessibile
di Luciano Gallino



GLI STUDI storici sulla civiltà italica del terzo millennio hanno fatto un
importante passo avanti con la scoperta del diario d'uno sconosciuto vissuto
nei primi decenni dell'epoca. Un esame preliminare dei suoi contenuti ci ha
indotto a ritenerlo opera d'un "uomo flessibile", categoria numerosa a quei
tempi. In effetti disponevamo già d'una massa ragguardevole di documenti
relativi al Culto della Flessibilità allora diffuso. Articoli, saggi,
fossili di filmati tv, pergamene d'accordi internazionali come quello famoso
tra Italia e Gran Bretagna di inizio millennio, attestano come la
venerazione della Flessibilità fosse una delle occupazioni principali di
quelle popolazioni.

In ogni settore della vita sociale, culturale, politica, financo economica,
esse parevano anteporre tale culto ad ogni altro impegno o pensiero. Per la
verità, i ricercatori non sono finora riusciti ad appurare se la
Flessibilità fosse creduta essere, o si volesse far credere che fosse,
spirito, sostanza, persona, archetipo collettivo o logo pubblicitario.
Questo diario d'un uomo che pare praticasse la Flessibilità, per convinzione
o per obbligo, permette comunque di comprendere meglio quale incidenza essa
avesse nella vita quotidiana. Il diario copre un arco di parecchi anni. Ne
riportiamo alcuni brani.

Ottobre 2001. A me la flessibilità piace. Mi lascia libero di organizzare il
mio tempo. Sono indipendente. E poi si incontrano facce nuove. Lavorare in
aziende sempre diverse è una bella esperienza. Mi arricchisce la
professionalità e mi permette anche di spenderla meglio. È vero che ogni
tanto devo chiedere soldi ai miei per andare in discoteca, perché tra un
lavoro e l'altro magari passa qualche mese. Ma insomma, se penso a loro che
han passato tutta la vita nello stesso barboso posto, io son molto più
soddisfatto.

Giugno 2005. La ditta in cui ho lavorato tre mesi m'ha rinnovato il
contratto per altri sei. Giusto un paio di giorni prima che scadesse
l'altro. Si vede che mi apprezzano. Certo che se me lo dicevano un po' prima
avrei gradito, perché mi risparmiavo di girare le agenzie e passare nottate
in Internet per vedere se trovavo un altro lavoro.

Gennaio 2006. La mia compagna S. vorrebbe fare un figlio. Pure a me
piacerebbe. Però è anche lei una flessibile - sta facendo un tempo
parziale - e se dovesse capitare che restiamo tutti e due senza lavoro, tra
un impiego e l'altro, non ce la faremmo. Dunque meglio aspettare. Siamo
ancora giovani.

Marzo 2009. La ditta in cui lavoro da sei mesi m'ha rinnovato il contratto
per altri tre. Il capo del personale dice che per adesso, in attesa del
giudizio dei mercati sui loro prodotti, non possono fare di più. Ma invita
ad avere fiducia. Altri hanno avuto prima o poi il tempo indeterminato.
Visto che dove lavoro io siamo almeno duecento, gli domando quanti sono.
Potrebbero essere addirittura il venti per cento, risponde, facendomi due o
tre nomi.

Maggio 2010. Insieme con S. sono andato in banca. Vorremmo comprarci un
alloggetto. Anche se alla fine non lavoriamo in media più di otto o nove
mesi all'anno, guadagniamo abbastanza. Però avremmo bisogno d'un prestito o
d'un mutuo. L'impiegata sta a sentire, fa qualche domanda, poi dice che non
si può. I prestiti o i mutui si concedono soltanto a chi ha un lavoro
stabile. Per consolarci ci confida che nemmeno lei, impiegata di banca,
potrebbe avere un mutuo. È una temporanea.

Novembre 2014. Dopo sette rinnovi consecutivi di vari tipi di contratto - un
paio di interinali, tre o quattro a tempo determinato, altri due CCC, cioè
di collaborazione coordinata - la ditta mi ha proposto un contratto a tempo
indeterminato. In cambio mi chiede soltanto, per via della flessibilità, di
rendermi disponibile al lavoro a turni, sei ore comprese in un qualsiasi
intervallo tra le 7 e le 24, in qualunque giorno, sabato e domenica inclusi.
Ogni settimana l'orario del turno può cambiare. Naturalmente loro si
impegnano a farmi sapere quale sarà il mio orario con almeno due o tre
giorni di anticipo. Naturalmente ho accettato.

Gennaio 2015. Ho saputo da un biglietto di S. - adesso facciamo turni con
orari diversi, così ci lasciamo messaggi sulla porta del frigorifero - che
il medico le ha detto che se vuole avere un figlio dovrebbe sbrigarsi. A 35
anni una donna è anziana per avere un primo figlio. Lei però è ancora
indecisa. Adesso ha un CCC, ma sta per scadere e non ha ancora trovato
altro. E se non lavora lei non paghiamo l'affitto, altro che il latte in
polvere e una tata. Ci vorrebbe una legge apposta, per le madri flessibili.

Luglio 2016. Mia madre vorrebbe sapere con precisione quale lavoro faccio.
Per dirlo ai parenti, agli amici che chiedono notizie. Sostiene che la mette
a disagio non poter rispondere che suo figlio, per dire, fa l'elettricista,
o l'impiegato all'anagrafe, o il disegnatore di dépliants. Vorrei
risponderle, perché ormai ha l'aria proprio vecchia. Il fatto è che, dopo
tanti lavori, non lo so nemmeno io chi sono, che cosa sono. Da qualche tempo
mi fa male la schiena. Ho prenotato una visita.

Luglio 2018. Dato che bisogna essere previdenti, ho chiesto a un'esperta a
quanto potrebbe ammontare la mia pensione. M'ha parlato di ricongiungimenti,
casse separate, regime contributivo, e dello sbaglio d'aver cambiato tante
volte lavoro e azienda. Posso aspettarmi, in conclusione, una pensione pari
a circa un terzo di quello che prendo al mese, quando lavoro. Ma con una
pensione pari a un terzo dello stipendio mica si vive. Quindi le ho chiesto
cosa dovrei fare per aumentarla. Dovresti investire almeno un terzo di
quello che guadagni in un fondo integrativo, ha detto.

Settembre 2018. Non sono ancora riuscito ad andare dal medico. Ogni volta
che faccio la prenotazione, capita che sono di turno.

Dicembre 2018. La ditta, di cui ho sentito che sta andando benissimo, mi ha
licenziato. Ho protestato, ricordando che il mio contratto era a tempo
indeterminato. M'hanno spiegato gentilmente che da quando lo statuto dei
lavoratori è stato abolito, indeterminato significa soltanto che è l'azienda
a decidere quando il contratto termina.

(Mese illeggibile del 2022). Quest'anno sono riuscito a lavorare soltanto
sei mesi. Le aziende mi fanno difficoltà perché, alla mia età, non ho
abbastanza formazione. I giovani che arrivano adesso dalla scuola sono più
preparati e flessibili. Per fortuna nell'azienda in cui lavoro adesso ho
ritrovato F., ex compagno di scuola. È diventato capo settore, un uomo
importante. Gli ho chiesto com'è riuscito a far carriera. Beh, dice, ho
cercato di restare nella stessa azienda il più a lungo possibile. Se uno
salta di qua e di là, da un posto all'altro, mica lo promuovono. Ti pare?

Chiudiamo qui, per ora, il diario dell'uomo flessibile. Come ben sanno gli
storici, le cause del rapido declino della civiltà italica del terzo
millennio d. C. sono tuttora avvolte dal mistero. L'ipotesi d'un
avvelenamento collettivo da piombo delle condotte d'acqua, già affacciata
per spiegare il crollo d'una civiltà fiorita nello stesso territorio 15-20
secoli prima, va scartata in base alle indagini compiute con i nostri
super-spettrografi di massa. Ma sulla base di quest'ultimo ritrovamento, ci
pare lecito ipotizzare che il culto della Flessibilità, distraendo
ipnoticamente i capi come le masse da ogni altro fine esistenziale, abbia
avuto in tale declino un peso non lieve. Le nostre ricerche su questo
fascinoso tema proseguiranno.

tratto da "La Repubblica", 20 febbraio 2002




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