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Il vescovo Bregantini sull'articolo 18: 
La precarietà uccide la persona


Incontriamo monsignor Giancarlo Bregantini al termine di un convegno sul
"microfinanziamento" dei contadini in Equador. Il vescovo di Locri,
fortemente trentino per nascita e inflessione, ha appena raccontato
l'esperienza di quei giovani calabresi che, dopo aver imparato tra le
montagne del nord a coltivare frutti di bosco, si sono accordati con i
valligiani e sono riusciti a far maturare i lamponi in Calabria anche a
Natale, quando nel settentrione fiorisce soltanto il ghiaccio. La loro
piccola cooperativa non è piaciuta al giornale della Confindustria ma,
secondo Bregantini, è un piccolo baluardo contro la 'ndrangheta.
Il vescovo spiazza subito il cronista che non ha ancora letto la
dichiarazione da lui rilasciata all'agenzia cattolica Sir: "Vuole forse
domandarmi dell'articolo 18?". Come no? Immediatamente.
Bregantini cita l'enciclica "Laborem exercens" e attinge a piene mani alla
dottrina sociale cattolica. La sua voce è autorevole perché, oltre a guidare
la diocesi della Locride, presiede la Commissione sociale, giustizia pace
della Cei e in questi giorni ha partecipato al Consiglio permanente
dell'episcopato italiano introdotto dal cardinale Ruini. Nella relazione
l'articolo 18 affiorava soltanto tra le righe di un'unica grande
preoccupazione, quella di scongiurare il conflitto sociale. Ma Berlusconi
non aveva ancora sbattuto la porta in faccia alla Cisl e Avvenire non glielo
aveva ancora rimproverato. Adesso invece, di fronte alle decisioni del
governo, monsignor Bregantini dichiara "grande amarezza". "Si sta cercando -
afferma - lo scontro con i sindacati, il danno è molteplice, il Sud patirà
moltissimo perché già vive una situazione di precarietà che oggi è nuda e
cruda"; "con questa legge il mondo imprenditoriale sarà ancora più spinto ad
essere feroce e determinato alla eliminazione" dei lavoratori. Lo scontro
pregiudicherà lo sviluppo e, in definitiva, le stesse imprese. Con questo
provvedimento - incalza - "la persona viene uccisa, schiacciata". A turbare
il vescovo sono inoltre gli aspetti etici della faccenda.

Perché contesta il governo sull'articolo 18?
Non condividiamo la decisione perché non ci interessa un'azienda che
licenzia ma una che produca. E per produrre - lo dicono anche gli
industriali - bisogna motivare i lavoratori. A fare un operaio, infatti, non
è il denaro ma la motivazione. Se il mercato mi impone la flessibilità la
devo accompagnare, se invece scarico il lavoratore anche coloro che restano
in attività avvertiranno un regime negativo. E se si è costretti, bisogna
comunque sostenere il lavoratore da un'attività all'altra. I lavori
interinali invece non sono accompagnati dal sistema bancario. Per questo noi
abbiamo sostenuto una flessibilità che definiamo "promozionale" tale cioè da
permettere ad ognuno di dare il meglio di sé. Altrimenti diventa solo
precarietà.

E oggi c'è solo precarietà?
Un ragazzo con il lavoro interinale non può ottenere prestito per la casa, a
tratti non ha la mutua, non è garantito nella società. Questa legge prima
che ingiusta è miope: non offre le risposte che i giovani attendono. E non
si ripeta quello slogan aberrante secondo cui i vecchi non vogliono pensare
ai giovani. Tutt'altro. Sono i giovani stessi a sapere bene che la
precarietà esiste già. Al sud ci sono ragazze che firmano buste paga da due
milioni ma dentro ne trovano soltanto uno mentre magari l'azienda intasca
dallo Stato un sostegno per un milione e duecento mila lire. Abbiamo mille
ingiustizie, se diamo anche la chiave giuridica per consentirle dove andremo
a finire? Il problema si risolve dando motivazioni e finanza alle
iniziative, come si è detto in questo convegno sull'Equador. E' miope un
governo che si preoccupa di licenziare, dovrebbe preoccuparsi di assumere.

Critiche pesanti al governo, non le uniche ad emergere dalla Cei. Ruini ha
criticato la legge sull'immigrazione e ha messo in guardia dalle modifiche
legislative sul mercato delle armi. Ne avete discusso?
Dell'immigrazione sì, a lungo; sulle armi, cenni rapidi ma di grande
appoggio, anche perché quel richiamo di Ruini, pur dedotto dal linguaggio di
una prolusione, è in pratica un no chiarissimo. Sull'immigrazione poi è
stato molto esplicito e coraggioso.

Le fa paura la Bossi-Fini?
Fa paura la logica di un popolo che teme di confrontarsi. Ha detto bene
Ruini: chi arriva non è un avversario ma un fratello che ci arricchisce.

Sull'immigrazione accenti più marcati da parte del cardinale rispetto al
passato, non le pare?
Un passo in avanti sì, perché adesso c'è una legge in discussione e quindi
bisogna intervenire.

Le piccole imprese nella sua Calabria incontrano minacce mafiose?
No perché non sono appalti. La mafia investe in cose grandi, nel ponte di
Messina non nei lamponi.

Il ponte invece la preoccupa?
Se è sganciato da tutto il resto sì. Non ho nulla contro il ponte ma se
significa non fare le strade non va bene. Il Sud non ha bisogno del ponte ma
prioritariamente di viabilità interna, della ferrovia e di sostegni
all'agricoltura e alle attività del territorio.
Guardiamo al mondo. Porto Alegre ha detto qualcosa alla Chiesa?
Ha detto che dobbiamo essere più vicini ai poveri e carichi di speranza. La
mia visione cristiana mi spinge a fare una lotta "pro" piuttosto che contro,
non combatto un sistema ma promuovo la persona. E' la persona che fa cadere
un sistema iniquo. Il mio solo nemico è l'uso sbagliato del denaro che lo
rende sanguinante.


(intervista di Furio Fania su "Liberazione" del 16-3-2002)



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