<<<- |
. . . . . . . . . . . . . |
Ramoscelli d'ulivo spezzatiInternet e
navigatori, un modo nuovo per non nascondersi di fronte ai problemi,
soprattutto un modo nuovo per parlare fuori da ogni clamore
rivendicativo. Mi hanno chiesto in
molti, perché sono dalla parte di Adriano Sofri. Perché lo ritengo
innocente. Poi mi hanno
chiesto ancora cosa ne penso di una vita umana depredata del suo
diritto di vivere. Si, sto dalla parte
di Adriano Sofri e non per posizione ideologica. Sono per la
sofferenza di un uomo, che in trent’anni, ancora non ha avuto la
possibilità di vivere normalmente. Sono per Adriano
Sofri, per lo stesso motivo, per cui mi sento vicino al dolore delle
vittime di quel reato; entrambi hanno le dita rotte, a forza di
scavare alla ricerca di una verità-liberante. Mentre le verità
portate in superficie sono molteplici, come i processi svolti, nelle
assoluzioni incontrate, nelle condanne erogate. Il dubbio, il
tormento, l’inquietudine di questi decenni, dovrebbero insegnarci
quanto meno, che la strumentalizzazione politica serve solamente ad
alimentare rotture e separazioni difficilmente sanabili, difficilmente
ricomponibili. Ritengo Sofri
innocente del delitto ascritto, non perché io sappia dov’era quel
giorno, né lo conosco personalmente, tanto meno perché non credo
all’autorevolezza di una sentenza passata in giudicato. Lo ritengo
innocente perché in quei lunghi anni bui, teatrali nella loro cruenta
tragedia, molti furono i protagonisti
architetti sgangherati di uno scontro sociale, sfociato nel sangue e
nella disperazione, di innumerevoli assenze, diventate nel tempo
presenze costanti. Sono stati molti e
troppi al di qua e al di là del filo spinato eretto a misura per non
fare i conti con le proprie inadempienze. Ritengo vi sia
una differenza profonda tra una responsabilità morale e
un’altra penale. Sono convinto che le parole abbiano un’eredità
intrinseca, quando sono lanciate
scompostamente e del tutto prive di meccanismi di sicurezza. Ma
è un’altra cosa l’armare il cane di una pistola, premere il
grilletto, e rimanere a guardare un uomo denudato della propria dignità…morire. Non ho buonismi
facili né intelletto caritatevole che mi inducono a tendere la mano a
Sofri, bensì è la forza della ragione che mi spinge a non schierarmi
con il plotone di esecuzione in attesa da decenni. Ammesso e non
concesso che Sofri fosse colui che ha commesso quel delitto: nulla è
passato sotto i ponti in questi trent’anni? Se un colpevole
doveva pagare, essere rintracciato e inchiodato alle proprie colpe, a
me pare che quest’uomo abbia avuto a sufficienza ferri ai polsi,
sbarre e affetti negati. Neppure riassumo le
tante azioni, opere e comportamenti, messi in atto per tentare di dare
un senso alla propria vita…spesa anche e soprattutto per gli altri:
infatti non è questo che promuove Sofri uomo e persona da additare
con rispetto e fin’anche con pietà. Se veramente egli
fosse stato artefice materiale di quel delitto, ebbene in tanti anni
di carcere, di entrate e di uscite, di tempo sospeso e speranze
fucilate, penso abbia scontato tutto un tempo per pagare il dazio
richiesto all’intera società. Ma ciò che più mi
rende sbilanciato dalla sua parte, quindi dalla parte di chi non c’è
più, è un ragionamento che dovrebbe riguardare i tanti altri Sofri
relegati nelle patrie galere, che non sono pochi. Penso che l’uomo
della condanna non sia più l’uomo della pena. Penso che chi ha
commesso un reato, seppur grave, nel tragitto di vita detentivo e non,
abbia la possibilità di smetterla
di disabitare se stesso, e così
diventare ed essere un uomo diverso. Un uomo dapprima vinto e
perduto, e in seguito un uomo che affidandosi
alle proprie capacità interiori, ritrova la propria umanità. Ciò in forza della
fede che ognuno professa, sia anche quella di un amore finalmente
coraggioso per l’altro. Non difendo Sofri,
né cerco di fuorviare dal carico di lacerante disperazione di quella
famiglia a lutto. Ragiono come
dovrebbe ragionare una Giustizia non succube di momenti emozionali
emergenziali. Una Giustizia che è tale, perché è giusta ed equa, e
non perché potente e altisonante. A quale scopo
detenere Sofri oggi? Per quale motivo agire nei suoi confronti? Per
quale ulteriore mandato decidere di reciderne la volontà? Non è mia
intenzione comparare il messaggio cristiano con il nostro sistema
giuridico, né porre su binari convergenti le parole di Cristo con il
diritto penale. Non ne sarei capace, ma obiettare che un uomo che non
confessa, devia dal primo gradino
della propria conversione, mi sembra alquanto improprio. Primo
perché, se Sofri foss’anche colpevole, quella confessione andrebbe
riportata a Cristo stesso o al suo ministro. Secondo, perché il
Tribunale, lo Stato, la società reprime una condotta socialmente
dannosa, e giudica gli atti posti in essere da quella persona. Non
quella persona. Non difendo Sofri,
né prendo parte al banchetto degli avvoltoi, né mi siedo a destra o
a sinistra sullo scranno più alto. Non voglio neppure tirare per il
bavero Gesù e la Fede, neanche voglio commuovere la platea irosa che
chiama a raccolta. Piuttosto mi viene
spontaneo affermare che lo Stato non è capace della generosità del
perdono, se non per un puro calcolo di opportunità. E se l’obiettivo
di uno Stato è la
rieducazione nella funzione della pena, mi chiedo cosa c’è da
riformare, destrutturare e ristrutturare, in un uomo, oggi detenuto,
come Sofri? Uno Stato non si
spende per la conversione del reo ( figuriamoci di un innocente che
muore senza mai invocare alcuna pietà d’accatto ), ma se vogliamo,
arbitrariamente, discutere di ciò, allora è la storia personale
dell’uomo Sofri, quella sbandierata dai giornali, dalla televisione,
dalle cronache a metter fine al dubbio, perché da quei lontani anni
di slogans e sangue, è proprio il Sofri di oggi
a disegnare il percorso di una conversione ove si riconosce la
centralità dell’uomo. No, non difendo
Sofri, perché la mia storia ha la pancia piena di sbarre, di catene,
di scarponi chiodati, di eredità e fardelli inestricabili, conosco il
male fatto e il dolore arrecato, ancor di più quant’è impervia la
strada che porta alla consapevolezza del peccato, di cosa è giusto e
di cosa è infinitamente sbagliato. Proprio per questo
motivo, penso che cucire addosso a Sofri termini quali
rieducazione o conversione,
risultino spartiti
che non decanteranno lodi per alcuno. Uno Stato e quindi
una collettività hanno
tutto il diritto di difendersi, mai di vendicarsi. Chi ha
infranto le regole del vivere civile paghi il proprio debito, ma abbia
la possibilità di riparare al male fatto, perché una società giusta
non può e non deve volgere le spalle a chi è fin’anche ultimo, ma
nel tempo è diventato un uomo nuovo. Vincenzo
Andraous _________________________________________________________________ |