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TOLLERANZA ZERO
"Attento potresti passare dei guai:
c'è il carcere per i minori che
commettono reati, ora fai il duro, ma
poi piangerai". Così mi diceva un
vecchio Maresciallo dei Carabinieri,
mille secoli addietro. Me lo diceva
dentro la sua divisa che rendeva altera
e severa la sua voce: io con le mani
in tasca, sfioravo il freddo della lama
che avevo imparato a portare con me.
Nella mia mente nessun accenno al
dubbio, nessun timore, solamente una
grande ansia di poter diventare
protagonista di quella profezia, che per me
rappresentava la via maestra per
apparire, per essere, per avere, la
scorciatoia per uscire da un anonimato
invadente.
Avevo quattordici anni da due giorni
durante quel mio primo arresto: la
famiglia, la scuola, il quartiere, erano
scomparsi di fronte alle porte del
carcere.
Si, avevo quattordici anni e l'immaturità
di un adolescente; più entravo ed
uscivo da un carcere per minorenni, da
una caserma, da una cella di
isolamento, più mi sentivo a mio agio,
ma dallo scippo, alla rapina, al
sangue, il tragitto è breve: quanto lo
spazio di uno sparo...
In questi giorni leggo sui quotidiani
alcune proposte o scelte di politica
criminale che a detta di molti
potrebbero risolvere i problemi inerenti la
devianza minorile: l'imputabilità
abbassata a dodici anni, il carcere
obbligatorio...
Ho l'impressione che si continui a
preferire la fuga in avanti, piuttosto
che il fare progettuale, che senza
un'estensione pratica di investimenti,
rimane un fallimento annunciato, forse
persino voluto.
Progettare una politica fattiva,
interventista, mirata, significa investire
davvero in materiale umano
specializzato, in strutture appropriate, in
cultura che non è solo uno spot, bensì
un nuovo pensiero che va a
scandagliare sempre nuove aree
problematiche. E' sciocco criticare una
proposta attraverso un pregiudizio, o
peggio ideologizzando un percorso, ma
forse sarebbe bene riflettere su quanto
accade nei paesi tecnologicamente
avanzati e con una democrazia ben
consolidata, dove appunto a dodici anni
sei imputabile, quindi vai in carcere,
ma aumenta l'urto e il fastidio per
interi quartieri suddivisi in gangs di
giovani guerrieri, un piccolo
esercito di adolescenti divenuti carne
da macello, e di fatto esclusi e
ghettizzati.
A dodici anni non puoi comprendere
neppure di essere al mondo, maledici chi
t'ha messo al mondo, e della tua
esistenza deleghi altri, dai genitori, all'
estraneo improvvisamente più vicino.
Di chi le colpe, di chi le responsabilità?
Non è il caso di usare il
pallottoliere per disegnare somme e
detrazioni, la sociologia, ma ancor di
più la criminologia, hanno ampiamente
illustrato il "perché" dei cadaveri
disseminati all'intorno.
Come sempre è più facile additare i più
giovani che noi stessi, è più facile
perché comporta meno fatica,
soprattutto tacita la coscienza. Ma anche
ammettendo che a dodici anni sei
consapevole delle scelte e delle
responsabilità, come un adulto formato
dalle esperienze, occorrerà
domandarsi in quale struttura
penitenziaria fare scontare la condanna o la
custodia cautelare a un minore.
Sì, perché, a tutt'oggi il carcere non
lo si riesce a piegare a nessuna
utilità sociale, anzi rimane il maggior
riproduttore di sub-cultura: entrano
uomini ed escono bambini, entrano
bambini ed escono pacchi bomba senza.fissa
dimora.
Quando dal carcere escono persone che
hanno saputo ritrovare un senso a
dare, riconquistato dignità e
autostima, ciò non è dovuto alla durezza e
alla inumanità di un sistema, bensì è
la vita che cambia gli uomini: la vita
con i suoi incontri importanti, e non
certamente l'imposizione di una
sofferenza fine a se stessa.
Il carcere è ritenuto un contenitore
effimero, è ciò sottende l'annullamento
del suo contenuto, non solo umano, ma
riguardante anche la sua funzione, sì,
di afflizione, di salvaguardia della
collettività, di incapacitamento a
reiterare i reati, ma anche e
soprattutto di ripristino della legalità, di
rispetto della dignità personale e
altrui, dove l'uomo abbia il dovere di
riparare alle proprie azioni e
lacerazioni, ma insieme al diritto di poter
sperare in una rinascita.
Con questa realtà attuale (passata e
persistente ) occorre chiedersi quale
sia lo scopo di imprigionare dei
dodicenni: per recuperarli...o più
semplicemente per levarceli dai piedi.
Sembra che non esistano strutture
alternative al carcere per i minori,
erroneamente ho sentito parlare di
inesistenti binari rieducativi, quando
invece a mio parere, non c'è nulla da
rieducare in chi non ha mai avuto un
vero accompagnamento educativo.
Personalmente svolgo attività di tutor
nella Comunità "Casa del Giovane" di
don Franco Tassone a Pavia. Seguo
diversi minori nei laboratori,
adolescenti, giovanissimi, minori a
rischio, di nazionalità diverse,
estrazioni disparate, con problematiche
diverse, familiari, scolastiche,
ambientali, ma sono tutti ragazzi alla
ricerca della propria identità nel
riconoscimento dei ruoli all'intorno.
Sono convinto che in una comunità come
questa, dove l'investimento forte è
per la promozione umana, esiste per i
ragazzi la possibilità di instaurare
una rete di rapporti con persone valide,
che sappiano trasmettere non solo
nozioni e conoscenze, ma vicinanza ai
valori più profondi e condivisibili.
Ecco che allora è possibile un cammino
"insieme" di revisione, di
responsabilizzazione: ciò assume il
valore di un accompagnamento educativo
che non ha come unico scopo quello del
prevenire, bensì del liberare, sì,
"liberare la libertà" come ci
ha lasciato detto il fondatore di questa
grande casa don Enzo Boschetti, e che
sta anche nelle parole di don Bosco in
una "dimensione nuova del
cuore "
Una comunità come questa non è solo
uno spazio residenziale, ma un'area con
intersecazioni progettuali individuali,
indispensabili per l'adempimento di
un progetto educativo finalizzato a
sottolineare problemi e risorse, quindi
a elaborare le difficoltà come le
potenzialità.
La sua efficacia sta nel sommare la
teoria alla pratica, non certamente nel
dividerla e classificarla, e la capacità
dell'educatore sta nel consegnare
senso pedagogico a un'accoglienza che
non ha solo istanza assistenziale,
bensì di vera e propria formazione
della persona.
Affinchè i tanti adolescenti che
vedo, osservo, mentre vicendevolmente ci
guardiamo per quello che siamo e non per
quello che vorremmo essere, possono
partecipare attivamente nel quotidiano e
proseguire con sempre maggiore
entusiasmo.
Per questi motivi, per l'esperienza che
mi porto addosso come somma degli
errori, non mi convince questa specie di
"tolleranza zero" verso i più
giovani, come per i più esposti ai
rischi estremi.
Forse a questi ragazzi spinti in avanti
al frontale dell'urto dialettico e
fisico, che senza desiderio di
rallentare affermano di non aver paura della
morte, è il caso di controbattere con
una pedagogia esperienzale: voi non
avete paura della morte, avete paura
della vita, perché non esiste "il caso"
, esistono le scelte.
Per quanto sto vivendo io, camminando
con i giovanissimi, mi piace pensare a
un buon libro; lo si legge da soli, ma
non si è soli davvero, perché in
compagnia delle nostre forze. Quando le
righe si saranno sommate le une alle
altre, ed i pensieri avranno scavato la
fossa alle incoscienze, sarà come
essere entrati nella nostra storia, ma
con la sensazione di non essere più
come eravamo.
Vincenzo Andraous Carcere di Pavia e
tutore "Casa del Giovane"
ottobre 2001 Pavia
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