<<<- |
. . . . . . . . . . . . . |
IN NOME DELLA SICUREZZA La guerra del diritto di Giuseppe Pelazza
Anche il Diritto dei paesi occidentali
abbandona la vantata civiltà
giuridica per farsi portatore delle
"nuove" esigenze di guerra
La guerra "globale" che gli
Stati Uniti d'America, con al seguito gli
stati europei, hanno iniziato per
liberare il mondo dal terrorismo -
ossia per consolidare le loro pratiche
di rapina verso i detentori di
fonti energetiche e materie prime, per
migliorare la loro presenza
strategico-militare nell'Asia Centrale
e in altre parti del mondo e per
rimodellare gli interni assetti
istituzionali al fine di fare i conti con i
movimenti di opposizione - si muove,
come sappiamo, su più piani.
Qui, brevemente, intendo occuparmi del
piano della normativa
penale, soprattutto per quanto
riguarda l'ordinamento italiano.
UN NUOVO REATO: TERRORISMO
INTERNAZIONALE
Il 18 ottobre 2001, "ritenuta la
straordinaria necessità ed urgenza di
rafforzare gli strumenti di
prevenzione e contrasto nei confronti del
terrorismo internazionale, prevedendo
l'introduzione di adeguate
misure sanzionatorie e di idonei
dispositivi operativi" è stato
emanato il decreto legge n. 374 poi
convertito, con alcune
modifiche, nella legge 15 dicembre
2001 n. 438, di cui esaminiamo
gli aspetti più significativi.
All'interno dell'art. 270 bis
(introdotto nel codice penale con il
cosiddetto decreto Cossiga del
dicembre 1979 e che già puniva le
associazioni con finalità di
terrorismo) viene inserita
espressamente anche l'ipotesi
dell'associazione con finalità di
"terrorismo internazionale".
Le pene previste per la semplice
partecipazione, già prima molto
elevate, sono ulteriormente
inasprite (da 5 a 10 anni).
A questo punto - sembra paradossale! -
viene da rimpiangere il
buon vecchio legislatore fascista che,
con l'art. 306 del Codice
Rocco, colpiva con pene da 3 a 9 anni
chi partecipava al ben più
agguerrito sodalizio definito,
appunto, come "banda armata".
Ma il centro della questione è
l'estrema vaghezza con cui viene
indicato il comportamento punito.
Infatti l'associazione vietata può
anche soltanto "proporsi" il
compimento di atti di violenza con le
finalità in questione, e quindi la
soglia della punibilità ricomprende
anche la semplice intenzione.
Inoltre: che tipo di atti di violenza
l'associazione dovrebbe avere il
fine di compiere? In assenza di
specificazioni, la nozione è
amplissima, raggiungendo una vera e
propria indeterminatezza su
quale sia il comportamento vietato,
con grave violazione dell'art. 25
della Costituzione. Ma, del resto,
tale violazione già esisteva da
tempo per il vecchio 270 bis, e ben
pochi se ne sono lamentati...
COLPIRE I MOVIMENTI DI MASSA
Dalla riformulazione della nozione
generale di finalità di terrorismo
consegue poi che per gli "atti di
violenza ... rivolti contro uno Stato
estero, un'istituzione o un organismo
internazionale" si applica
l'aggravante prevista dall'art.1 del
già ricordato decreto Cossiga,
che determina un aumento di pena della
metà, con l'impossibilità
per giunta di cancellare tale
aggravante con il riconoscimento di
attenuanti, come succede invece per le
aggravanti ordinarie.
Questa riformulazione sembra voler
equiparare genericamente gli
atti di violenza contro uno stato
estero o un organismo
internazionale e le finalità di
terrorismo (con il conseguente
inasprimento delle pene cui si è già
accennato), con l'obiettivo
quindi di colpire non solo i membri di
associazioni ristrette bensì i
partecipanti a movimenti di massa con
connotazioni
internazionaliste (e quali mai
saranno?...).
La nuova legge introduce poi nel
codice penale l'art. 270 ter che
punisce, con pena fino a 4 anni, chi
"fuori dei casi di concorso nel
reato o di favoreggiamento, dia
rifugio o fornisca vitto, ospitalità,
mezzi di trasporto, strumenti di
comunicazione" a chi partecipa
non solo alle associazioni punite
dall'art. 270 bis ma anche alle
"vecchie" associazioni
sovversive previste dall'art. 270 per colpire
comunisti, socialisti massimalisti e
anarchici.
Per chi avesse questo tipo di
intenzioni, alla luce di questa norma
risulta più conveniente fornire vitto
e alloggio ai partecipi di una
banda armata (pena solo fino a 2 anni,
in base all'art. 307 del
codice penale)...
CONTROLLO TOTALE
L'art. 3 della legge rende più celeri
le procedure per le
intercettazioni telefoniche nei
procedimenti relativi ai delitti previsti
dall'art. 270 bis e 270 e ai delitti
con finalità di terrorismo. Anche in
questo ambito, inoltre, è estesa la
possibilità di perquisire "blocchi
di edifici" e di sospendere
"la circolazione di persone e di veicoli
nelle aree interessate". A questo
punto, il riferimento mentale più
spontaneo va alla nozione di
rastrellamento.
L'art. 5 prevede la possibilità anche
per i reati con finalità di
terrorismo (oltre che per quelli di
mafia) di intercettare
preventivamente "comunicazioni o
conversazioni, anche in via
telematica, nonché ... comunicazioni
o conversazioni tra presenti",
anche in domicili privati. Queste
intercettazioni sono autorizzate
non nei confronti di chi è sottoposto
a indagini, ma in via del tutto
generale "quando sia necessario
per l'acquisizione di notizie
concernenti la prevenzione" dei
delitti in questione. È quindi chiaro
che tali intercettazioni (utilizzabili
a fini di polizia e non processuali)
possono colpire chiunque, e qualunque
ambiente.
Insomma, il controllo tende - ove già
non lo sia - a divenire totale.
INFILTRATI UFFICIALMENTE
L'art. 4 introduce, senza ipocrisie ma
anche senza più pudore, la
disciplina delle "attività sotto
copertura" della Polizia giudiziaria.
Sono disposte dal Capo della Polizia o
dal Comandante generale
dell'Arma dei carabinieri o della
Guardia di finanza ed effettuate
dagli organismi investigativi di tali
corpi "specializzati nell'attività di
contrasto al terrorismo o
all'eversione"; il Pubblico ministero deve
soltanto esserne preventivamente
informato.
Il fine di tali operazioni è
"acquisire elementi di prova in ordine ai
delitti commessi per finalità
di terrorismo" e gli operanti non sono
punibili se "anche per interposta
persona acquistano, ricevono,
sostituiscono od occultano denaro,
armi, documenti, stupefacenti,
beni ovvero cose che sono oggetto,
prodotto, profitto o mezzo per
commettere il reato, o altrimenti
ostacolano l'individuazione della
provenienza o ne consentono
l'impiego".
È cioè prevista espressamente
l'attività di
infiltrazione/provocazione, con ampie
previsioni di non punibilità.
Ovviamente è consentito l'utilizzo di
identità e documenti di
copertura e chiunque, conoscendo la
vera identità degli infiltrati, la
divulgasse, è punito con la
reclusione da 2 a 6 anni. Le operazioni
segrete devono restare segrete, che
diamine!
Parallelamente a ciò, pare che la
riforma dei Servizi segreti in
corso di elaborazione attribuisca a
tali agenti l'impunità per una
gamma ben superiore di delitti, da cui
sarebbero esclusi solo gli
omicidi e le lesioni personali (cfr.
"La Repubblica", 27/11/2001).
L'art. 10 bis, infine, compie un primo
passo verso la creazione, per
i delitti in questione, di giudici
"speciali", giacché stabilisce la
competenza di Pubblico ministero e
Giudice delle indagini
preliminari del "capoluogo"
del distretto in cui ha sede il giudice
competente. Il che vuol dire che se vi
è competenza, ad esempio,
del Tribunale di Monza, le indagini
preliminari saranno invece
oggetto dell'attività di Pm e Gip di
Milano e non di Monza come per
tutti gli altri reati.
IN SINTONIA CON LA NUOVA LEGISLAZIONE
EUROPEA
Ovviamente, tutta questa normativa
inerente i reati con cosiddetta
finalità di terrorismo si intreccia
con la definizione di terrorismo che
sarà data a livello europeo, a
proposito della quale è più che lecito
avanzare serie preoccupazioni,
considerato quel che si legge circa
il riferimento, quali atti di
terrorismo, anche alle occupazioni
abusive o ai danneggiamenti di
infrastrutture statali e pubbliche,
mezzi di trasporto, luoghi pubblici e
beni, ovvero anche all'intralcio
o interruzione della fornitura di
acqua, energia o altre risorse
fondamentali (cfr. Commissione della
Comunità Europea, Proposta
di decisione Quadro del Consiglio del
19/9/2001).
Il tutto si lega anche alla creazione
dello spazio giuridico europeo
in tema di "mandato di
arresto", con vanificazione delle precedenti
procedure di estradizione.
E, a questo proposito, sia consentito
sottolineare la miopia di chi
ha accusato questo pernicioso e infame
governo anche per il fatto
che avrebbe ostacolato l'ingresso
dell'Italia in tale desiderabile (!?)
spazio. Il discorso, infatti, doveva
essere diversamente sviluppato,
contro questo governo e i suoi
miserabili interessi in materia, ma
anche, ed essenzialmente, contro la
riduzione degli spazi di libertà.
COMUNITÀ "NEMICHE"
La produzione legislativa italiana
legata alla guerra ricomprende
anche le normative concernenti le
"Disposizioni sanzionatorie per
le violazioni delle misure adottate
nei confronti della fazione
afghana dei Talebani"
(Decreto Legge 28/9/2001 n. 353 convertito
con legge 27/11/2001 n. 415).
Tali norme sono di derivazione europea
(Regolamento CE 6/3/2001
n.467): quello che colpisce è il loro
riferirsi a una collettività
"politico/religiosa" e il
loro disporre misure contro specifiche
persone fisiche nominativamente
individuate.
Tutto questo desta in chi scrive assai
sgradevoli sensazioni, dal
momento che è escluso dal consorzio
civile chi è appartenente a
una comunità "nemica",
essendo - con norme di legge - indicato
nominativamente dopo una fase di
individuazione svolta al di fuori di
ogni garanzia giurisdizionale dal
"comitato per le sanzioni". In tutto
ciò vi è qualcosa di déjà vu, ma
anche qualcosa che sa di oscuro
presagio...
USA E GRAN BRETAGNA
Che le speciali normative italiane si
innestino in un modus
procedendi deciso a livello
internazionale è risaputo. Ricordiamo
soltanto come gli Usa costituiscano
l'avanguardia anche in questo
campo, raggiungendo il vertice, oltre
che della caduta delle
garanzie democratiche, anche
dell'"imperialismo giudiziario"
attraverso la creazione di Tribunali
militari con competenza
sull'intero globo: "lo Stato
penale statunitense tenderebbe così a
convertirsi nelle forme di un Impero
penale, impegnato a giustiziare
i nemici che non siano stati
direttamente eliminati con le armi o dai
servizi segreti" (così Danilo
Zolo, in Dallo Stato di diritto all'Impero
penale, "il Manifesto",
16/11/2001).
La fidata Gran Bretagna, seguendo un
più basso profilo, pare aver
seguito le procedure previste dalla
Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle libertà fondamentali, che
nel suo art. 15 stabilisce che
"in caso di guerra o in caso di altre
pubbliche calamità che minacciano la
vita della nazione, ogni altra
parte contraente può prendere misure
che deroghino agli obblighi
già previsti di questa
Convenzione", e ha quindi disapplicato l'art. 5
in tema di controllo dell'autorità
giudiziaria sulla privazione della
libertà, ricorrendo alla detenzione
amministrativa per i "sospetti",
così cancellando secoli di civiltà
giuridica.
INFINE: I TRIBUNALI MILITARI!
Un ultimo dato va affrontato: con
decreto legge 1 dicembre 2001 n.
421 (Disposizioni Urgenti per la
partecipazione di personale militare
all'operazione multinazionale
denominata "Enduring Freedom") si è
stabilito (art.8) che "Al corpo
di spedizione italiano che partecipa
alla campagna per il ripristino ed il
mantenimento della legalità
internazionale (sic!) denominata 'Enduring
Freedom' ... si applica il
codice penale militare di guerra,
approvato con regio decreto 20
febbraio 1942 n. 303".
"Corpo di spedizione",
"Regio decreto", "Codice militare di guerra",
antichi vocaboli acquistano nuovo
vigore e splendore: la guerra non
è più un tabù e può essere (a
differenza che nelle precedenti
aggressioni all'Iraq e alla Serbia)
finalmente rivendicata, anche se -
per ora - con gli eufemistici
riferimenti al mantenimento della
legalità internazionale.
Siamo insomma entrati in una fase
nuova, di guerra globale, e di
queste esigenze di guerra anche il
diritto, ben lungi dal
contrastarle, si fa portatore.
Da Guerre & Pace
N. 86 - Febbraio 2002
_________________________________________________________________ |